Recensione: Living Black in America

Di James C. Wilson. Originale pubblicato il 5 marzo 2019 con il titolo Review: Living Black in America. Traduzione di Enrico Sanna.

Nell’episodio di debutto della nuova serie “Trigger Warning”, Killer Mike sfida se stesso a vivere per tre giorni consumando solo prodotti acquistati in attività gestite da neri. Michael Render, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Killer Mike (si riferisce ai testi delle sue canzoni, non a precedenti violenti), è attivista politico, rapper e personaggio dei media originario di Atlanta.

Mike si è fatto un nome nei primi anni 2000 come autore per il duo hip hop OutKast quando questo era al vertice della loro carriera. Negli anni successivi ha pubblicato una serie di album da solista, ma senza mai raggiungere il successo a livello nazionale, finché non ha fatto coppia con il rapper di New York El-P, con cui nel 2013 ha dato vita al duo Run the Jewels. I Run the Jewels si sono dimostrati un successo di vendite e di critiche. I loro tre album sono un divertente miscuglio di giochi di parole osceni, spacconate grottesche, realismo crudo e commenti occasionali sulla società.

Il successo di Killer Mike con Run the Jewels gli è valsa la comparsa a vari talk show in tarda serata e un ruolo importante come supporter di Bernie Sanders in qualità di candidato democratico alla nomination per le presidenziali del 2016. Questa ricca carriera lo ha infine portato a gennaio alla nuova serie di Netflix “Trigger Warning with Killer Mike”. In “Trigger Warning” Mike si lancia in prima persona all’esplorazione di questioni importanti. Il primo episodio della serie, intitolato “Living Black” (“vivere da nero”, ndt) parla della scarsità di attività economiche di proprietà di neri in America.

Prima di parlare dell’episodio in questione, due parole sul nome della serie. Il termine trigger warning indica un avvertimento usato talvolta in ambito accademico o simile da persone che soffrono di disordini da stress post-traumatico. In queste persone, la comparsa improvvisa di qualcosa che ricorda un evento traumatico (come una sevizia o l’aver assistito a scene di violenza o di guerra) può essere scioccante. L’avvertimento previo serve proprio a far sì che possano prepararsi anticipatamente.

Purtroppo la destra usa la cosa per canzonare certi adolescenti dicendo che sono deboli e incapaci di affrontare il mondo fuori dalla loro bolla. “Trigger warning” è quindi diventato un insulto. Si banalizza il disturbo psichico. Pur senza intenzioni offensive, Killer Mike con questo titolo fa involontariamente il gioco di queste persone.

Il primo episodio di “Trigger Warning” comincia nella città natale di Mike, Atlanta, e prosegue ad Athens, in Georgia, per un concerto. Avendo deciso di “acquistare nero”, Mike deve rinunciare all’auto a favore di una bicicletta comprata in un negozio di neri che ricicla biciclette. In alcuni punti della narrazione è costretto a dormire all’agghiaccio e saltare i pasti. Ad un certo punto, per felicità sua, trova un buon ristorante di proprietà di neri, ma deve abbassare la forchetta quando il suo amico El-P solleva dubbi sull’identità dei fornitori della carne. Irritante è anche il fatto che non esista una catena di fornitura di marijuana tutta nera. Un fatto che costringe Mike a vivere il più lungo periodo di sobrietà della sua vita.

Per strada trova qualche buona sorpresa. Un supermercato affiliato alla Nation of Islam, uno strip-tease nero e una fattoria comunitaria che fa anche da scuola. Visita anche una sede di webuyblack.com, un sito che vende varie cose prodotte da neri, dal detersivo al dentifricio. C’è anche una compagnia di cellulari nera chiamata Figgers Communication, dal nome del fondatore Freddie Figgers. E poi Mike si ferma a discutere dei “libri verdi”, le guide che ai tempi della segregazione indicavano le attività economiche di cui potevano servirsi i neri quando viaggiavano.

Qui Killer Mike tocca un nervo scoperto. Nei cento anni seguenti l’abolizione della schiavitù, ai neri americani sono stati precluse le migliori possibilità d’alloggio, le migliori scuole e le migliori opportunità economiche. Gli era precluso anche il credito, se non alle condizioni più svantaggiose. E questo era opera dello stato e di pratiche esclusioniste nel settore privato, con il primo che spesso dava una mano al secondo. Per giunta, quei pochi neri che riuscivano ad accumulare una discreta somma diventavano oggetto di persecuzioni, violenze e furti. La polizia spesso fingeva di non vedere, se non era che partecipava attivamente agli assalti.

Come nel caso della famosa rivolta di Tulsa, nel 1921. I rivoltosi bianchi distrussero quello che a quei tempi era il quartiere commerciale nero più ricco del paese, misero a ferro e fuoco trentacinque isolati di attività in maggioranza proprietà di neri uccidendo un numero imprecisato di persone, probabilmente centinaia.

L’era Jim Crow è finita appena cinquant’anni fa, neanche una vita, e da allora sono trascorse poche generazioni. Ma a quel punto i bianchi erano già avvantaggiati perché potevano avere un lavoro migliore, istruzione, un buon posto in cui vivere, e accesso al credito con cui avviare un’attività e arrivare al successo molto più facilmente di altre persone a cui questi vantaggi erano stati negati. I vantaggi generazionali sono molto più diffusi tra i bianchi che tra i neri, e il primo episodio di Killer Mike è testimone di questa realtà.

I vantaggi accumulati dalle attività dei bianchi con la fine della segregazione sono cresciuti. Durante la segregazione, negozianti e clienti neri erano costretti a creare una “economia nera” parallela. Nell’impossibilità di acquistare in molti negozi dei bianchi o di fare carriera nelle loro attività, i membri della comunità nera dovevano arrangiarsi a commerciare perlopiù tra loro. Questo dava la possibilità a certe attività dei neri di servire una clientela che aveva poche possibilità di scelta. Con l’integrazione della società, bianchi e neri si ritrovarono a competere sempre più direttamente.

Da quando è nato, nota Mike, la percentuale di attività nere in quartieri storicamente neri è andata calando di pari passo con la crescita dell’integrazione. Se, da un lato, la fine della segregazione razziale ha significato nuovi diritti e libertà per i neri, dall’altro, nota, è iniziato il declino della “economia nera”, e questo rappresenta una perdita per la sua comunità.

In un certo senso, tutto ciò ricorda la morte di tante attività locali in quartieri prevalentemente bianchi a causa dell’invasione di grandi aziende possedute e gestite da persone che stanno altrove, le quali prendono il denaro dalla clientela e lo portano fuori dall’economia locale. Certo è un inevitabile riflesso delle scelte dei consumatori e della forza dello scambio spontaneo all’interno del mercato, ma anche le politiche statali contribuiscono ad alimentare questo dominio economico da parte di grosse attività che perlopiù appartengono a bianchi.

Come ho notato altrove in questo stesso sito, il sistema autostradale finanziato dai contribuenti (e edificato su terreni espropriati) alleggerisce le diseconomie di scala delle attività più grosse, come i costi di trasporto sulle lunghe distanze, il che dà a chi opera su queste distanze dei vantaggi che altrimenti non avrebbe. Grandi aziende come Walmart e Amazon prendono miliardi dagli stati e dalle amministrazioni locali sotto forma di terreni gratis o a prezzo di favore, infrastrutture, agevolazioni fiscali varie e credito, tutte cose negate alla piccola concorrenza. A questo si aggiunge il fatto che la crescita delle normative, il sistema delle licenze e i requisiti urbanistici rendono proibitivo l’ingresso nel mercato di piccole attività.

Lo svuotamento delle piccole attività per favorire il dominio del dettaglio da parte di grosse aziende assenteiste (la cui proprietà è altrove) è stato aiutato dallo stato, e questo vale tanto per le zone prevalentemente bianche che per quelle prevalentemente nere. Se i consumatori spesso traggono benefici dai prezzi più bassi praticati da queste attività, è anche vero però che questi prezzi sono spesso possibili grazie ad un mercato distorto dallo stato. In un sistema più libero, i benefici di scala e quelli della prossimità sarebbero più in equilibrio, mentre l’attuale sistema spesso avvantaggia artificialmente i primi.

Ma c’è anche un’altra cosa che nell’episodio non viene citata, ma che vale la pena commentare. Ed è il fatto che noi come individui traiamo guadagni enormi dallo scambio di beni con persone diverse da noi. Lo vediamo all’inizio dell’episodio, dove si vede Mike che possiede una bella casa, un’auto, vestiti e elettronica fabbricati da persone di razza diversa dalla sua. Se è vero che le differenze razziali tra imprenditori sono spesso il prodotto di secoli di ingiustizie, è però vero che anche in un ipotetico mondo ideale, in cui questa eredità non esiste, si avrebbero comunque vantaggi a fare affari con persone diverse. In una realtà economica più equa, le catene logistiche sarebbero ben diverse, più integrate rispetto ad ora.

Comprare unicamente da persone simili a noi significa impoverirsi. In una società equa e libera, beni e servizi si spostano in tutto il mondo unendo tra loro realtà etniche molto diverse. Molti amano l’idea di vivere in una comunità chiusa, ma nessuno vorrebbe fare affari unicamente con persone della stessa comunità.

E arriviamo alla politica protezionista di persone come Donald Trump, che con i suoi dazi e le guerre commerciali ignora quanto l’esistenza degli americani tragga vantaggio dall’acquisto di prodotti che vengono da fuori (per non dire dei vantaggi che hanno gli stranieri che vendono). E però anche Bernie Sanders, il candidato appoggiato da Killer Mike, condivide gli stessi impulsi protezionistici di Trump, anche lui pensa che cose come la libertà di migrare e di commerciare siano “roba dei fratelli Koch”.

In un’economia più libera e equa si potrebbe trarre il massimo vantaggio dai benefici del commercio globale senza che lo stato intervenga a favore delle grandi aziende e contro le economie locali. Una società libera porterebbe ad un equilibrio tra economie globali e locali. Ma è anche vero che nella realtà in cui viviamo ci sono gruppi a cui è stata negata la libertà per secoli. E Killer Mike, con il suo “Living Black”, rappresenta una divertente ma anche riflessiva ricerca sull’impatto prodotto da queste crudeltà storiche.

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