Gli insegnamenti di un Padre Narcisista
Di Isobel Ducasse. Originale pubblicato il 6 febbraio 2018 con il titolo Lessons From My Narcissist Father: Kleptomania and the Boundaries of Need-Based Consumerism. Traduzione di Enrico Sanna.
Mio padre ha sempre rubato. Da piccola lo vedevo uscire dalla libreria, una mano nella mia e nell’altra una pila di riviste e libri. Nessuno l’ha mai fermato e io non ho mai detto una parola. Anni dopo, io adulta lo guardavo da lontano mentre con le buste strapiene di roba passava imperturbabile davanti alle cassiere di una nota catena di prodotti biologici, diretto al parcheggio.
Il comportamento di mio padre è chiaramente patologico, il prodotto di un narcisismo che lo rende incapace di fare differenza tra se stesso e il resto del mondo. Il negozio è pieno di prodotti che, pensa, esistono per lui. Prende quello che gli serve senza pensare alle implicazioni morali dei suoi atti.
In qualche modo, la patologia di mio padre affascina. Da anarchica, credo che rubare ad una SpA sia giustificato dall’enorme spreco prodotto giornalmente in tutto il mondo dalle aziende. Possiamo mitigarne gli effetti con il consumo intelligente, come il mio veganismo, ma forse il modo migliore per colpire queste istituzioni ed eliminare lo spreco passa per il consumo illegale.
Mi ha colpito un recente articolo di Peter Gelderloo, “Veganism: Why Not”, che sbugiarda il veganismo come forma di resistenza, notando come invece contribuisca a “dipingere di verde il capitalismo”. Filosofie come il veganismo, sostiene Gelderloos, si basano sostanzialmente sulla capacità di scelta del consumatore, non fanno che ingabbiarlo ulteriormente nella logica del consumismo rampante.
Dopo aver letto l’articolo, sono arrivata alla conclusione che forse il modo migliore per ottenere il cambiamento consiste nel rubare i generi alimentari, uscire completamente dalla sfera capitalista. La patologia di mio padre mi è apparsa allora sotto una diversa luce: i prodotti esistono per il nostro uso, noi ne abbiamo bisogno, quelli sono accessibili, perché non servircene?
Come ogni altra forma di consumo etico, però, anche rubare ai capitalisti causa problemi morali. Definisco patologico il comportamento di mio padre perché non è spinto dal bisogno ma dall’avidità. Non ricordo di averlo mai visto rubare qualcosa di cui avesse bisogno. Solitamente taccheggia cose inutili: libri che non leggerà mai, integratori di cui non ha bisogno, oggetti che già possiede. Mio padre potrebbe essere un caso unico, ma analizzando le sue azioni mi rendo conto di come tutto il consumo è basato sostanzialmente sul consumismo capitalista.
Durante la mia breve esperienza di direttore di libreria, decisi di ignorare quello che mi appariva un taccheggio di necessità. Un ragazzino rubava una copia de Il buio oltre la siepe per un compito scolastico, e io guardavo altrove. Un gruppetto riempie il carrello di roba da rivendere su eBay; e questo, d’accordo, è un problema. Ma chi sono io per dire se quel negozio virtuale su eBay serve a vivere o meno? Ho capito che nel tentativo di distinguere il furto per necessità da quello per pura avidità stavo creando una mia gerarchia di valori morali e ponendo me stessa a giudice.
Vivere immersi nella cultura capitalista significa non vedere il confine tra necessità e avidità. La cleptomania è un disturbo del controllo degli impulsi che spinge a rubare; ma la spinta a rubare è sostanzialmente connessa alla spinta a consumare che sentiamo tutti. Viviamo tutti costantemente sull’orlo di quello stesso narcisismo maligno che alimenta il cleptomane: la voglia di prendere a prescindere dai bisogni o dalle conseguenze.
Qual è la differenza sostanziale tra cleptomane e consumatore medio? E tra questi due e quello che su YouTube rovista nei cassonetti alla ricerca di un “bottino”? Possiamo anche arrivare a dire che sia il cleptomane che il rovistatore attento sono affetti da una forma unica di consumismo sfrenato, per cui, parafrasando Baudrillard, il rifiuto del consumo genera una spinta patologica a consumare.
Se vogliamo davvero perseguire una forma di consumo etico, dobbiamo distinguere tra necessità e avidità, abolire tutte le gerarchie, soprattutto quelle insite nel pensiero che ci governa.