Cosa Significa “Libero Mercato”?

Di Kevin Carson. Originale pubblicato il 27 marzo 2016 con il titolo Does “Free Market” Even Mean Anything? Traduzione di Enrico Sanna.

Le parole “il nostro sistema di libero mercato” dovrebbero provocare un certo allarme in chi le legge. Vedi ad esempio l’articolo intitolato “Nobel Prize Economists Say Free Market Competition Rewards Deception and Manipulation”, di George Akerlof e Robert Shiller (Economics, 6 gennaio). Ora, se le parole “libero mercato” hanno un senso, significano un sistema economico in cui tutti gli scambi di mercato sono liberi e spontanei, senza costrizioni e restrizioni. Ma nell’accezione più diffusa, “libero mercato” significa qualcosa come “capitalismo neoliberale” o “quel genere di economia corporativa che abbiamo ora”. Quando politici, teste parlanti di destra o libertari della variante dominante (ovvero di destra) difendono dalle critiche il potere e i profitti incredibili delle grandi aziende, fanno riferimento al “nostro sistema di libero mercato”. E molti, anche troppi, critici del capitalismo (anche se non tutti) scivolano pigramente nell’abitudine di definire “libero mercato” il capitalismo corporativo neoliberale.

A conferma di quest’ultimo caso, Akerlof e Shiller sostengono che “il nostro sistema di libero mercato” per sua stessa natura “tende a generare manipolazioni e inganni”. E quella descritta da loro (“[s]e gli imprenditori si comportano in maniera puramente egoista e arrivista così come suppongono le teorie economiche”) è un’economia in cui gli attori economici sono “uomini economici” astratti, e gran parte delle funzioni produttive e distributive sono mediate dal nesso di cassa. Ma nel corso della storia ci sono state diverse forme di mercato. E molte delle società in cui esisteva lo scambio commerciale erano presumibilmente molto più libere della società in cui viviamo. Una società in cui tutto è mediato dal nesso di cassa, e in cui gran parte delle funzioni sono espletate da imprese economiche a fine di lucro, è un fenomeno relativamente recente proprio dell’epoca capitalista e, secondo l’antropologo David Graeber, è tutta una creatura dello stato moderno. Dunque quello descritto da Akerlof e Shiller è un vero e proprio sistema creato dalla sopraffazione dello stato e tenuto in piedi dall’intervento continuo dello stesso, un sistema che distorce drasticamente le spontanee relazioni umane. A che serve aggiungere le parole “libero mercato”?

E in termini pratici, cosa significa “sistema di libero mercato”? È “libero mercato” un sistema politico, economico e sociale in cui la stragrande maggioranza delle proprietà terriere può esser fatta risalire alla concentrazione nelle mani dello stato e alle concessioni terriere fatte alle classi privilegiate, alle chiudende di terre non occupate e non sfruttate da parte di proprietari terrieri non residenti, costringendo così i legittimi proprietari (ovvero chi occupa, usa e coltiva la terra) a pagare un tributo per accedervi? È “libero mercato” un sistema in cui i diritti di sfruttamento delle maggiori riserve minerarie e di fonti energetiche risalgono alle razzie di epoca coloniale? È libero mercato un sistema in cui gran parte dei profitti dipende da brevetti e copyright, ovvero sulle restrizioni imposte dallo stato al diritto di copiare informazioni e design? È “libero mercato” un sistema in cui lo stato limita la concorrenza, e gran parte dell’industria è dominata da una manciata di aziende che si accordano sui prezzi e su come soffocare l’innovazione? È “libero mercato” un sistema in cui la maggior parte delle aziende sarebbe in rosso se non ci fosse lo stato a socializzare una grossa fetta dei loro costi operativi e dei rischi?

Se è così, l’espressione “libero mercato” non significa molto. E se “libero mercato” significa qualcosa, l’attuale sistema non è un libero mercato. È solo un sistema in cui capitalisti e possidenti controllano lo stato, e la funzione principale dello stato è di garantire profitto e rendita per le classi possidenti.

L’unica conclusione a cui posso arrivare è che l’espressione “libero mercato”, così come la stragrande maggioranza la utilizza normalmente, significa semplicemente “il sistema che abbiamo ora”, opposto (forse?) alla socialdemocrazia o ad un’idealizzata economia da New Deal. Ma è certo che ciò che abbiamo ora è tanto statalista quanto il New Deal o le socialdemocrazie europee; con l’unica differenza che lo stato sta meno dalla parte dei sindacati e dei poveri.

Ci sono persone a sinistra, come Naomi Klein e Dean Baker, che riconoscono la distinzione tra “corporativismo”, o “sovvenzioni alle imprese”, e “libero mercato”. E a qualcuno a destra piace rispondere a chi critica da sinistra dicendo: “Ma quello è corporativismo (o capitalismo clientelare), non capitalismo.” Quest’ultimo, almeno, fa un gesto sbrigativo per riconoscere alcuni fenomeni marginali come la Export-Import Bank e simili, ma giura che il cuore del sistema attuale è buono.

Idiozie. Non esiste alcun “sistema di libero mercato”. Non è mai esistito. Nonostante qualcuno a destra finga di credere che per qualche tempo nel passato è esistita un’approssimazione del laissez-faire, il capitalismo, il sistema che ha preso il posto del feudalesimo 500 anni fa o giù di lì, è nato dal furto, dall’aggressione e dalla schiavitù, ed è da allora che è statalista fino al midollo.

Se politici, teste parlanti o intellettuali accademici vogliono parlare di capitalismo corporativo, che facciano pure. Ma che la smettano di dire che il sistema in cui viviamo oggi ha qualcosa a che fare con la libertà.


Articolo citato in:

Anarchy and Democracy
Fighting Fascism
Markets Not Capitalism
The Anatomy of Escape
Organization Theory