[Di Logan Glitterbomb. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 25 aprile 2016 con il titolo Porn Prohibitionists Declare Public Health Crisis. Traduzione di Enrico Sanna.]
La settimana scorsa il governatore dello Utah Gary R. Herbert ha firmato una risoluzione che equipara la pornografia ad una crisi sanitaria. Quest’ultima mossa autoritaria da parte dei moralisti anti-porno è stata difesa dal senatore dello Utah Todd Weiler, che ha detto: “Non è solo un problema morale religioso. Per alcuni è un problema di educazione sessuale; nessun giovane ha bisogno di vedere quelle immagini per capire come si creano i figli.” Possiamo concordare con il senatore Weiler che la pornografia non è una forma di educazione sessuale, ma come si intuisce dalla dichiarazione, il suo punto di vista è dettato dalle sue convinzioni religiose secondo cui il sesso è solo un modo di procreare.
Il problema non sono le convinzioni personali del senatore Weiler o del governatore Herbert o di altri moralisti anti-porno, né il loro diritto di credere in qualunque codice religioso o comportamentale di loro scelta. Il problema sta nel tentativo di utilizzare il potere autoritario per imporre la propria morale al resto della società. Intendiamoci, questa risoluzione non ha valore legale vincolante, non crea nuove leggi o restrizioni. In effetti, allo stato attuale non cambia nulla. Leggi che proibivano la pornografia sono state approvate in passato, ma i tribunali le hanno annullate in quanto violazioni della libertà d’espressione. Questa risoluzione, invece, rientra tra le mosse degli oppositori della pornografia che cercano così di riformulare tutta la strategia. Invece di puntare sulla legalità o meno della pornografia, stanno cercando di farla passare come epidemia per poi dichiarare lo stato di emergenza e fare uso di argomenti pseudoscientifici e propagandistici per convincere la gente che vietare la pornografia è un bene per la salute pubblica. Come nel caso di alcol e droghe, i proibizionisti guardano esclusivamente agli effetti sanitari senza curarsi dei costi del proibizionismo.
Questa risoluzione, che finora è poco più di una dichiarazione pubblica, può potenzialmente aprire le porte alla repressione di stato della professione sessuale, un’industria in cui operano molte donne marginalizzate, transessuali e donne di colore. E infatti uno degli autori della risoluzione, Dani Bianculli, direttore dell’ufficio legale presso il Centro Nazionale sullo Sfruttamento Sessuale, ha detto di aver ricevuto contatti da parte di attivisti anti-porno di dieci stati al fine di redarre una legislazione anche da loro. Se questo movimento dovesse prendere piede, potrebbe spianare la strada a proibizioni più ampie contro l’industria del sesso, rendendola così ancora più pericolosa per alcuni tra i lavoratori più marginalizzati del mercato attuale.
Il problema va oltre la libertà di espressione. Riguarda il diritto alla privacy e il libero commercio. In un mercato già fortemente ristretto, il porno è una delle poche industrie in rapido decentramento. Con un facile accesso alle videocamere e con milioni di webcam, streaming, e siti porno, per molti è facile entrare con un minimo di costi iniziali, e questo genera lavoro dipendente o anche autonomo. Questo è di particolare aiuto per chi non trova lavoro altrove a causa di oppressioni sistematiche. Questa è roba che riguarda i diritti dei lavoratori, indubbiamente. Come dice Lee Rowland, avvocato specialista in libertà di espressione dell’Unione Americana per le Libertà Civili, fortunatamente allo stato attuale sono solo “parole vuote”. Ma questa non è una buona ragione per guardare altrove e far finta di nulla. Occorre schiacciare questa forma di proibizionismo prima che prenda piede.