[Di Bernardo Kaiser. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 23 giugno 2016 con il titolo Indigenous Policy and Genocide in Brazil. Traduzione di Enrico Sanna.]
Quando si riscontrano le seguenti pratiche l’attività di uno stato può essere classificata come genocidio secondo la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio delle Nazioni Unite:
a) uccisione di membri del gruppo;
b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua di- struzione fisica, totale o parziale;
d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;
e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.
La politica della giunta militare brasiliana (1964-1985) riguardo le popolazioni indigene può essere facilmente considerata un genocidio. Per la dittatura, le comunità indigene dell’interno erano ostacoli sulla strada dell’ideale di sviluppo nazionale; soprattutto per quanto riguardava la costruzione del sistema autostradale nazionale e l’incremento della capacità produttiva elettrica.
Prendiamo come esempio la comunità Waimiri-Atroari. Nel 1972, la sua popolazione era di circa 3.000 individui1. Undici anni dopo, la popolazione era ridotta a 332 individui, senza che ci fossero prove di epidemie2. Questo periodo coincide con la costruzione dell’autostrada BR 174 del Brasile settentrionale, che attraversa territori indigeni.
Dichiarazioni e altri documenti raccolti dalla Commissione per la Verità e la Memoria nello Stato dell’Amazzonia (CVM Amazonas) evidenziano come ci sia stato un sistematico sterminio e un processo di evacuazione forzata. Questi fatti erano noti alle istituzioni che avrebbero dovuto proteggere gli interessi degli indigeni (la vecchia Società per la Protezione degli Indiani (SPI) e la Fondazione Nazionale degli Indiani (FUNAI), che godevano del supporto degli indigeni. Come disse uno dei capi del Fronte per l’Attrazione dei Waimiri (FAWA), l’esercitò “esibì tutta la forza delle popolazioni civilizzate, talvolta servendosi della dinamite, delle granate, dei lacrimogeni, dei mitra, nonché del confino dei capi indigeni in altre località del paese.”3 L’estesa documentazione raccolta da CVM Amazonas dimostra come le popolazioni indigene siano state prese di mira con politiche di repressione sul territorio, bombe, e probabilmente anche napalm. I morti arrivarono a 2.000; era chiara l’intenzione di far scomparire queste popolazioni scomode.4
La comunità verso la quale il regime fu più ostile fu quella dei Cinta-Larga, nel centro-ovest del Brasile. Secondo le stime, nel giro di 20 anni, dal 1950 al 1970, oltre 5.000 indiani Cinta-Larga furono uccisi da sparatori legati al regime militare e dai latifondisti che erano riusciti ad ottenere dal governo i diritti di sfruttamento economico delle terre indiane.5 Tra gli strumenti utilizzati per lo sterminio degli indiani, le bombe lanciate dagli elicotteri e lo zucchero avvelenato.6
In altre comunità si riscontrano simili tassi altissimi di decessi dovuti ad azioni e omissioni da parte dello stato. Durante il periodo di intervento dello SPI e del FUNAI presso le tribù indiane, soprattutto negli anni settanta (gli anni più repressivi della dittatura) si stima che in Amazzonia sia morto il 36% degli Awareté, il 50% dei Catrimani, il 66% dei Paraná e l’80% degli Yanomami.7 Il rapporto della CVM stima in 8.900 il numero delle vittime in appena dieci comunità. Queste dimensioni allarmanti portarono anche aderenti al regime militare a parlare di genocidio contro le popolazioni indigene.8
Ma perché deve essere importante per noi giudicare genocide le azioni dello stato brasiliano? Perché il processo repressivo contro di loro non è finito. È stato solo modificato superficialmente. Gli indiani sono ancora soggetti a sterminio e evacuazione per far largo a progetti enormi come la diga di Belo Monte, costruita d’intesa con le più grandi imprese di costruzioni del paese, le stesse che ora sono indagate per corruzione su larga scala.
Al di là di un’occasionale fermo dei lavori, nessuna delle parti responsabili ha subito processi, né civili né penali. Uno dei direttori del FUNAI durante la dittatura è Romero Jucá, ora senatore per lo stato di Roraima, lo stesso in cui avvenne il massacro dei Waimiri Atroirá. Consciamente o meno, l’eliminazione delle comunità indigene è un desiderio profondamente radicato nel governo. Così disse nel 1976 Rangel Reis, ex ministro degli interni e segretario generale per l’agricoltura sotto i generali Médici e Geisel: “Gli indiani non possono fermare il progresso… Tra dieci o vent’anni non ci saranno più indiani in Brasile.”9
Traduzione dal portoghese di Erick Vasconcelos.
1 Oliveira, Rubens Auto da Cruz. FUNAI/DGPC. Postos Indígenas da FUNAI / Primeira Delegacia Regional / Estado do Amazonas. Brasília, 1972, pp. 1, 2, 7 e 8.
2 Baines, Stephen Grant. Commento a “Relatório sobre a Visita aos Waimiri-Atroari: de 20 de setembro de 1992”, da parte della Comissão de Assuntos Indígenas da ABA. Brasília, 19 de maio de 1993, p. 4.
3 O Globo. Sertanista vai usar até dinamite para se impor aos Waimiris. Rio de Janeiro, 06 de janeiro de 1975.
4 CVM Amazonas, http://www.dhnet.org.br/verdade/resistencia/a_pdf/r_cv_am_waimiri_atroari.pdf, p. 75.
5 Commissione Nazionale per la Verità. Relatório Temático sobre Violações de Direitos Humanos à Comunidades Índigenas, p. 237.
6 117 – Relatório Figueiredo, 1968, v. XX, p. 4.917.
7 Commissione Nazionale per la Verità. Relatório Temático sobre Violações de Direitos Humanos à Comunidades Índigenas, pp. 227/229
9 Commissione Nazionale per la Verità. Rapporto finale. Texto 5 – Violações de direitos humanos dos povos indígenas. 2014, pp. 203-264.