Da quando Katiele e sua figlia sono state catapultate nella cronaca, in Brasile scarseggia il dibattito sulla necessità di legalizzare la marijuana. Katiele lotta per curare l’epilessia di sua figlia con il cannabidiolo (CBD), una sostanza estratta dalla marijuana.
La domanda è: qual è la posizione dell’Anvisa, l’equivalente brasiliano dell’istituto superiore di sanità, in materia? Come giustifica il divieto di servirsi della cannabis per usi terapeutici?
Il ricercatore André Kiepper ha esposto alcuni dubbi all’Anvisa, e ha ottenuto risposte che, provenendo dal vice coordinatore dell’ufficio che si occupa di sostanze soggette a controllo, sono a dir poco peculiari.
“Perché non posso coltivare la cannabis esclusivamente per le necessità di mia figlia e di altri famigliari?” ha chiesto. La risposta è stata che “la cannabis sativa L. è classificata nell’elenco E (elenco di piante proibite che possono generare effetti inebrianti e/o sostanze psicoattive così come descritto nell’annesso I dell’Ordine Ministeriale del Ministero della Salute nº 344 del 1998). Dunque la coltivazione è vietata in tutto il territorio nazionale.”
Questo significa che, se coltivi la marijuana per uso medico, la tua terra può essere espropriata senza indennità, visto che la pena prevista dalla costituzione per la coltivazione di piante contenenti sostanze psicoattive è proprio quella. La risposta fornita da Anvisa fa capire i seri rischi in cui incorre nel proprio paese chi fa disobbedienza civile piantando erbe che aiutano un bambino malato. Alleviare la sofferenza di un bambino è proibito.
Il ricercatore ha poi chiesto di sapere se l’Anvisa ha il potere di autorizzare la coltivazione e la raccolta delle specie vegetali elencate nel cosiddetto Elenco E. L’ente ha risposto dicendo: “Ogni obiettivo curativo deve essere provato all’Anvisa con studi sulla sicurezza e l’efficacia sia pre-clinici che clinici, e i risultati devono essere illustrati in un dossier da allegare alla richiesta di registrazione, richiesta che le aziende farmaceutiche interessate devono inviare all’Anvisa.”
Notate i salti mortali che la gente deve fare per poter accedere alla marijuana per uso curativo. Katiele, andando contro lo stato, ha acquistato il cannabidiolo dall’estero, con risultati promettenti per la salute di sua figlia.
Da notare anche il fatto che l’autorizzazione a coltivare l’erba dipende dal fatto che un’azienda farmaceutica presenti una richiesta. L’Anvisa ha poi aggiunto che “l’uso di queste sostanze deve essere limitato a strutture mediche o scientifiche,” cosa che “impedisce la coltivazione individuale”. Solo le aziende possono chiedere l’autorizzazione a coltivare l’erba! I pazienti dipendono dalla loro volontà!
Di fronte a queste restrizioni, Kiepper ha chiesto l’autorizzazione all’importazione. La risposta disumana dell’Anvisa fa cadere le braccia: “La informiamo che non abbiamo una norma per quel genere di procedura.”
Kiepper ha insistito e ha chiesto perché una norma non esiste. L’Anvisa: “Finora, nessuna compagnia ha fatto richiesta formale per registrare alcun medicinale a base di sostanze derivate dalla cannabis.” Chi vuole curarsi con la marijuana deve aspettare che una compagnia faccia richiesta così che si faccia una norma al riguardo.
C’è la possibilità di richiedere un’esenzione per l’uso personale, ma non è di grande aiuto per i pazienti: “Un’autorizzazione eccezionale all’importazione di medicinali controllati a base di sostanze proibite, non registrati nel paese, può essere concessa dietro richiesta caso per caso, in quanto si tratta di un’esenzione dovuta alla mancanza di alternative terapeutiche nel territorio nazionale. … [È] obbligatorio ripetere gli accertamenti periodicamente così da adeguarsi a possibili cambiamenti nella prescrizione o nella forma dei trattamenti che influiscono sulle quantità precedentemente autorizzate.” Questa risposta serve a negare la possibilità di un rinnovo annuale, o di un registro che autorizzi l’acquisto dei medicinali all’estero.
E non esiste una norma che autorizzi un’organizzazione non-profit ad importare cannabidiolo: “Ogni autorizzazione concessa è specifica per ogni singolo prodotto (nome commerciale, se esiste, presentazione, formula, eccetera) e per ogni singolo produttore, paziente ed esportatore, e non autorizza l’importazione di altri prodotti.”
Alla domanda se “Anvisa intendesse facilitare il processo per evitare la morte inutile di altri bambini,” l’ente ha risposto dicendo di non avere notizie riguardo eventuali cambi di procedura per l’importazione, ma ha assicurato che “Anvisa sta facendo ogni sforzo per promuovere un dibattito, a livello nazionale e internazionale, relativo all’importazione di cannabidiolo, così da garantire la corretta assistenza medica; senza dimenticare, però, la necessità di evitare un uso improprio, ricreativo di qualunque sostanza o pianta.”
Mentre i burocrati dibattevano sulla questione, Gustavo Guedes, un anno e quattro mesi, sofferente della sindrome di Dravet, in attesa che Anvisa concedesse l’uso del cannabidiolo, è morto.