No, è più una Sorta di Lenin Libertario
Di William Gillis. Originale pubblicato il 18 giugno 2018 con il titolo Is Elon Musk an Anarchist? More Like a Libertarian Lenin. Traduzione di Enrico Sanna.
Elon Musk fa il troll su twitter. Una celebrità miliardaria che spreca il tempo in inutili provocazioni non fa notizia, se non fosse per aver dichiarato di sentirsi in linea con l’utopia anarco-transumanista di Iain Banks e di volere un mondo governato dalla democrazia diretta. Un miliardario che in una disputa sindacale si fa avanti e propone una forma di comunismo del lusso completamente automatizzato non fa spettacolo. Vale la pena rispondere, però, quando esonda dalle parti dell’anarchismo di mercato di sinistra.
Mi riferisco in particolare a questo paragrafo: “La vera questione non è neanche socialismo o capitalismo. Ciò che importa davvero è evitare i monopoli che restringono la libertà delle persone.”
Ci sono molte distinzioni da fare, e le conoscenze di Musk in fatto di contesti storici sono tutt’altro che chiare. Libertari sostenitori del libero mercato come Bastiat sedevano a sinistra nell’assemblea francese. Molti sostenitori del libero mercato, che tanti libertari considerano loro progenitori, come Lysander Spooner e Benjamin Tucker, vedevano se stessi ed erano visti come socialisti. C’è una lunga querelle sui termini “socialista” o “libertario” e “capitalismo” o “mercato”, che ha finito per generare una serie di definizioni e inquadramenti contrastanti, ognuno con la speranza di illuminare qualche particolare perso nel tribalismo di parte.
Ma Musk è un miliardario e, da tutti i punti di vista coerentemente libertari, un plutocrate il cui successo dipende in gran parte dalla collaborazione con lo stato. Molti sedicenti socialisti, per non dire delle folle ciarliere di twitter, lo odiano.
Tre sono le più diffuse critiche di fondo rivolte contro Musk. 1) È un tiranno con i suoi dipendenti. 2) Il capitale che gli ha permesso di diventare miliardario ha origini immorali. 3) Il fatto che rimanga attaccato alla sua ricchezza nonostante la possibilità di investirli in attività molto più benefiche è antietico.
È quest’ultima accusa che voglio indagare, anche perché le altre sono chiare di per sé. In breve: l’accusa mossa contro Musk è che i suoi dipendenti lavorano in condizioni di insicurezza e sotto una terribile pressione. E nonostante i suoi tentativi di dimostrarsi aperto ai sindacati, Tesla ha perseguitato, intimidito e licenziato lavoratori per aver espresso simpatie sindacali. A suo dire, i lavoratori preferiscono non avere capacità negoziali, a quanto pare perché riconoscono la benevolenza del loro dittatore assoluto, ma allo stesso tempo Musk minaccia di togliere i benefici a chi si iscrive al sindacato e ultimamente ha portato avanti licenziamenti senza preavviso. Musk dice di aver iniziato la sua carriera partendo dai risparmi, ma vale la pena ricordare che quando era ragazzino la sua famiglia, sudafricana e bianca, era così ricca che Musk andava in giro con gli smeraldi in tasca. Viene da pensare a Trump, che ha dichiarato di aver fatto le sue fortune partendo da un piccolo prestito di qualche milione da parte di suo padre (e di molte assicurazioni). Conosco madri singole con giornate lavorative più lunghe e senzatetto eroinomani che fanno investimenti più intelligenti, ma sotto una certa soglia della ricchezza le barriere sono troppo grandi. Musk ha certamente talento e dedizione, ma non ha fatto fortuna in equa concorrenza senza il suo privilegio di nascita.
Ma comunque si acquisisca la ricchezza, una volta che la si possiede c’è un certo obbligo etico ad usarla per il meglio.
I fan di Musk sostengono che lui abbia fatto proprio così. Ripetono sempre: “non sarà perfetto, ma è l’unico che punta a portarci su Marte.” Esiste, lo ammetto, un forte sentimento utilitario secondo cui portare la nostra specie nello spazio non ha prezzo. È un pensiero che mette su un piatto della bilancia la vita potenziale di migliaia di miliardi di esseri umani nel futuro e dall’altro quella di chi vive oggi, e che dice che dobbiamo fare qualunque cosa per garantire la sopravvivenza e la diffusione nell’universo dell’unica forma di vita cosciente nota. Non è chiaro, però, come Elon Musk rappresenti la persona più adatta. È vero che la sua ricchezza ha permesso a Space X di fare grandi passi, ma non è affatto detto che scienziati, ingegneri e semplici lavoratori di Space X condividessero tale visione prima dell’arrivo di Musk. Piuttosto sono stati i suoi soldi ad accendere la miccia. Da sostenitore acceso dell’espansione spaziale, ammetto di buon grado che investire su Space X è eticamente meglio che investire in vasche da bagno in oro zecchino. Ma non ci sono solo queste due possibilità.
Musk dice di essere un fautore della democrazia diretta, ma le sue attività sono governate come una dittatura, sono fortemente centrate attorno alla sua persona. Una delle opinioni principali degli economisti di libero mercato è che non ci sono limiti alla conoscenza e al calcolo, e soprattutto a ciò che un singolo pianificatore centrale può fare. Forse Musk ha talento, forse lavora 80 ore a settimana, ma è limitato, e una struttura organizzativa gerarchica e centralizzata è fortemente inefficiente, per non parlare dei danni psicologici che produce. E in effetti molti dei problemi di Tesla sarebbero il risultato del fatto che Musk prende decisioni unilateralmente, fa troppe cose e in modo superficiale, e si occupa di ogni particolare. Insomma, il suo atteggiamento tirannico nell’azienda è diventato un collo di bottiglia. Saranno state decisioni sagaci, ma il fatto di non essere in fabbrica e l’assolutezza del suo potere causavano grossi problemi organizzativi. Anche il pianificatore sovietico più intelligente e attento, stremato dal tentativo di controllare tutto, finisce per produrre grosse inefficienze. Anche per questo, a parità di condizioni le cooperative vanno alla grande.
Musk parla di “decentramento”, di monopoli da evitare, e questo è un bene, ma l’anarchismo va oltre la lotta ai monopoli fine a se stessa: è contro il potere e il dominio. Combattere i monopoli o gli oligopoli è necessario ma non basta, perché il potere che offende, sfregia e schiavizza può esistere anche in strutture diffuse. Basta pensare al razzismo sistemico, ad esempio, o alla violenza domestica normalizzata. O può succedere che un parvenu distrugge un mercato oligopolistico ma poi rimette in piedi le stesse strutture contro cui dice di combattere, e non tanto in termini di posizione sul mercato, ma soprattutto in termini di struttura aziendale interna, di quelle norme organizzative gerarchiche violente che l’oligopolio era riuscito ad affermare e mantenere.
Nella silicon valley c’è la tendenza diffusa a vedere i problemi globali solo in termini di concentrazione, cosa che li porta a parteggiare ingenuamente per ogni genere di concorrenza perdente.
Nella sua variante più pericolosa, somiglia a certe ricette neoreazionarie secondo cui occorre disgregare le attuali istituzioni in singoli governi più piccoli in concorrenza tra loro. Come se in un piccolo centro la polizia non possa essere altrettanto oppressiva. Come se bastasse un semplice diritto di uscita per soppiantare i grossi problemi con un potere contrattuale o per migliorare l’efficienza del potere. Le simpatie di Musk per la democrazia diretta vanno meglio (pur con tutta la critica della democrazia anarchica) ma il suo insistere sui monopoli lascia intravedere una grande ingenuità, o il tentativo di sciacquare la propria coscienza se riesce a farsi passare per un poveraccio oppresso di un monopolio più grande.
Gli ingenui decentralisti difendono acriticamente qualunque ultimo arrivato che osi sfidare il potere dominante. La corporazione dei tassisti, ad esempio, era tra gli esempi più offensivi e orribili di capitalismo creato dallo stato, un ordine quasi feudale a vantaggio di pochi capitalisti. Le organizzazioni di tassisti socialisti capivano bene che l’ingiustizia affondava le radici nel regime normativo statale. Uber riuscì, facendo leva su enormi capitali, a scalzare l’ordine monopolistico, ma poi usò gli stessi capitali per cementare la propria posizione come nuovo monopolio, così da estrarre rendita facendo da intermediario tra guidatori e passeggeri. Libertari, anarchici e socialisti coerenti appoggiavano l’abbattimento del vecchio sistema e allo stesso tempo mettevano in guardia dal monopolio che Uber cercava di mettere in piedi. Ma secondo il pensiero della silicon valley Uber è un eroico Davide contro Golia.
Questo schema si ripete tutte le volte che “rivoluzionari” aspiranti tiranni prendono il posto di quelli che hanno spodestato. Gran parte della folla autocompiacente della silicon valley si riduce in pratica ad un’orda di Lenin che rovesciano lo zar e che a stento nascondono la propria sete di potere.
E la libertà, se arrivera, arriverà grazie alla loro benevolenza. Ma non chiedete quando.
Musk può dire quanto vuole che i suoi fini sono più o meno utopicamente socialisti, ma sono i suoi mezzi a porlo accanto ai tiranni del “socialismo reale esistente”. I libertari che tifano per lui sono esattamente come quei socialisti che tifano per i regimi dispotici di Assad o di Kim, illusi che questi diseredati geopolitici che sfidano l’impero americano rappresentino l’unica speranza di opposizione.
Voglio essere sincero: nutro simpatie per gli obiettivi di Musk. Qui al Center for a Stateless Society sono dieci anni che cerchiamo di andare oltre la dialettica bloccata tra socialismo e libertarismo, valutando il mercato e le possibilità di un mondo egalitario senza monopoli e oligopoli che limitino la nostra libertà. Veniamo da una lunga e ricca storia fatta di incroci fatta di libertarismo di sinistra, e di anarchismo di mercato di sinistra.
Ma esiste tutto un mondo di strumenti che abbatte questo mondo senza porre le basi di un altro simile.
Non so quanto sono sincere le parole di Musk, se le sue ovvie contraddizioni sono il frutto di un malevolo opportunismo o di un’innocente ignoranza. Ma se avessi la possibilità di parlargli, lo inviterei non solo a combattere il potere monopolistico insito nelle sue organizzazioni collaborando con le lotte sindacali, ma anche ad investire più ricchezze in quei progetti che Iain Banks riconoscerebbe come anarchici.
Elon, perché non dai un milione di dollari a organizzazioni come IWW, uno sgangherato sindacato idealista e antistatalista che fa dove nessun altro sindacato osa? Per te è un nulla ma influisce sulla vita di migliaia di persone e dà la possibilità ai lavoratori di competere contro i monopolistici giganti aziendali. Farà girare le palle ai comunisti di twitter e magari Grimes potrà mostrare la sua faccia in pubblico, ma soprattutto aiuterà persone in carne ed ossa.
Lo dico sinceramente.
Altro esempio: noi del C4SS aiutiamo a coordinare le donazioni ad un insieme di piccoli ma altamente efficienti sforzi attivi, possiamo indirizzarti verso una miriade di progetti come centri comunitari, reti wifi, emittenti radio indigene eccetera. Non mi interessa mettermi in mostra o esibire purezza tribale. Accetterei un milione di dollari dal demonio se potessi ridistribuirli alle decine di migliaia di attivisti che in tutto il mondo spendono la loro vita impegnando fino all’ultimo centesimo per lottare contro il potere e allargare le libertà delle persone qualunque. Vogliamo parlare di altruismo che funziona? Piccoli pagamenti diretti destinati ad attivisti del sud del mondo, che già lavorano gratis e fanno i salti mortali con due soldi, sono di gran lunga il modo più efficiente per seminare libertà. Niente ONG burocratizzate ma una lotta anarchica spietata contro lo stato che cerca di fare la cresta ai fondi.
Vogliamo parlare di infrastrutture decentralizzanti? Dai un po’ di quei soldi ai cyberpunk e agli hacker che tengono in piedi gli strumenti crittografici e il software libero. Scommetto che la tua azienda dipende da librerie crittografiche tenute in piedi con quattro soldi da una manciata di idealisti. Parliamo di lotta ai monopoli? Perché non dare un po’ di soldi a quelle iniziative per un hardware open source il cui accesso al mercato è bloccato da barriere insormontabili?
C’è una miriade di eroi che nessuno celebra e che lottano incessantemente contro il potere, per erodere quel sistema centrale che ingabbia la libertà. E lo fanno senza collezionare yacht. Sanno che l’eroismo non è un gioco a somma zero. Noi tutti possiamo rivoluzionare il mondo. Noi tutti possiamo trovare espedienti per cambiare la realtà. È opinione degli anarchici che il cambiamento più forte e duraturo è quello che viene dal basso, non quello imposto dall’alto.
Quelli come Lenin non lo capiranno mai, curano il loro status, il loro profilo, sono preda dall’ebbrezza del loro dominio assoluto, vogliono consolidare il proprio marchio. Sono presi da questo ciclo di false opposizioni, di rivoluzioni vuote che mirano a sostituire un monopolio con un altro. Molti degli autori estremisti di fantascienza che Musk dice di amare lo sanno, ma a quanto pare lui non ci arriva.