I Vostri Alleati, non i Miei

Di Mila Ghorayeb. Originale pubblicato il 22 marzo 2018 con il titolo Your Allies, Not Mine. Traduzione di Enrico Sanna.

L’America considera suo nemico l’“Islam radicale”, accusa la sinistra di ciò, ma continua ad alimentarlo in un fuoco di accuse vuote.

La destra accusa spesso accusa la sinistra di disfattismo di fronte all’“Islam radicale”. Non è passato tanto da quando la destra accusava Obama di non usare mai le parole “Islam radicale” e “terrorismo islamico”. E si sa che dire che l’“Islam radicale” è una delle principali minacce per gli americani ha il potere di attirare l’attenzione delle masse su chi cerca di farsi eleggere e su chi è già al potere. Ammesso che le preoccupazioni siano fondate, bisogna prima capire cosa è l’islamismo radicale. Quindi occorre capire qual’è la relazione tra la sinistra e l’Islam e se questa relazione favorisce l’Islamismo radicale, che, come vedremo, è altra cosa rispetto all’Islam inteso come fede religiosa. Infine dobbiamo analizzare come nasce e si sviluppa l’estremismo islamista all’estero, e quali fattori lo alimentano. Come dimostrerò, l’atteggiamento isterico della destra riguardo l’Islamismo radicale è, nella migliore delle ipotesi, ignorante; nella peggiore, è ipocrita e pericoloso.

Solitamente, chi denuncia pubblicamente l’“Islamismo radicale” non spiega cosa significano le sue parole. Chiariamo prima cosa si intende per Islamismo, o Islam politico. Islamista è, grossomodo, chi vuole che l’Islam abbia un ruolo politico. Ci sono diversi tipi di islamisti. Quelli nonviolenti che partecipano alla politica istituzionale, come il tunisino Ennahda. O i salafiti, appartenenti ad un’ala ultraconservatrice dell’Islamismo. Anche i salafiti possono essere (relativamente) nonviolenti e partecipare alla politica istituzionale, come i Fratelli Musulmani in Egitto. Ma possono anche essere violenti e operare fuori dalle istituzioni politiche per raggiungere i propri obiettivi, come Isis/Isil/Daesh e Jabhat al-Nusra.

Possiamo quindi affermare che gli islamisti non sono monolitici. E che non tutti i musulmani sono islamisti. Tranne in Yemen, in tutti gli stati a maggioranza musulmana ultimamente è calata la popolarità delll’islamismo, o Islam politico, mentre è cresciuta quella per la democrazia popolare opposta ad un governo su base religiosa (Tessler & Robbins, 2014).

Occorre vedere, poi, se e come la sinistra incoraggia o supporta l’Islamismo. Ci considerano “sostenitori”, se non “fiancheggiatori”, degli islamisti perché preoccupati per l’islamofobia. Una preoccupazione diffusa a sinistra è la marginalizzazione di certe categorie sociali, dunque è ovvio, soprattutto dopo l’undici settembre 2001, che l’islamofobia preoccupi. Questo non significa necessariamente difendere uno stato islamista, o anche semplicemente l’Islamismo e/o la fede musulmana. Non occorre essere musulmani per subire le conseguenze dell’islamofobia. Molte vittime dell’islamofobia non sono neanche musulmane. Come i Sikh.

Allora è più corretto dire che a sinistra le preoccupazioni in merito all’islamofobia sono legate a tre questioni: l’antirazzismo della sinistra (legato alla tendenza attuale a vedere i musulmani in termini razziali), le posizioni a favore della libertà migratoria e del diritto d’asilo (in reazione alle restrizioni all’immigrazione da paesi musulmani), e la fede nella libertà religiosa (vedi le leggi che vorrebbero vietare il velo negli spazi pubblici).

Nessuna di queste preoccupazioni genera o rafforza l’Islamismo, tanto meno il Salafismo violento a cui alludono molti politici. Contrastare la discriminazione e il crimine d’odio contro singoli musulmani non incoraggia l’Islamismo; idem l’ammissione di immigrati o rifugiati. Semmai sarebbe il contrario. La politica del muro contro muro tra musulmani e occidentali rientra tra gli scopi dei salafiti di Daesh che vogliono esasperare le divisioni tra i musulmani e le loro controparti occidentali. Favorendo l’ingresso e l’interazione dei musulmani con la società occidentale, la sinistra e i sostenitori della libertà di movimento danneggiano, non rafforzano, l’ideologia salafita.

Altra accusa rivolta contro la sinistra, soprattutto le femministe, è di non “parlare” abbastanza dell’Islam, di non mostrarsi abbastanza preoccupati riguardo l’estremismo islamico. Come accusa sarebbe credibile; dopotutto, come possiamo combattere qualcosa di cui ci rifiutiamo di parlare? Ma si tratta di un’accusa infondata, ignora la mole di interventi e l’attivismo femminista su questioni riguardanti i musulmani e gli arabi, e non tiene conto del fatto che l’islamofobia occidentale è talvolta usata per mettere a tacere le femministe di fede musulmana.

Chi accusa cita determinate femministe americane come esempio di tutto il femminismo occidentale. Non pensa che, quando si parla di questioni in stati a maggioranza musulmana, forse è meglio lasciar parlare le donne che vivono il problema e hanno bisogno di una voce. Non occorre che gli uomini occidentali apprendano dalle donne occidentali qual è il rapporto tra il femminismo e l’Islam quando ci sono così tante donne musulmane e mediorientali che possono dire la loro. E poi non possono, non devono, ignorare il fatto che nella lotta contro l’Isis le femministe erano e sono in prima linea.

Ma chi è che incoraggia l’Islamismo, visto che non sono le femministe o le persone di sinistra, che semmai farebbero il contrario? Ironicamente, sono proprio gli Stati Uniti. A favorire l’estremismo islamico sono proprio i suoi contestatori e accusatori. L’atteggiamento degli Stati Uniti e dei suoi alleati è altra cosa rispetto alle accuse vuote rivolte contro femministe e persone di sinistra, è una vera e propria istigazione delle ideologie salafite e islamiste in Medio Oriente tramite la destabilizzazione degli stati e l’appoggio a quei governi e gruppi che contribuiscono attivamente alla diffusione e al mantenimento della violenza salafita nella regione.

La famigerata invasione americana dell’Iraq, caldeggiata dai neoconservatori dell’era Bush, ha destabilizzato l’Iraq dando vita all’Isis per reazione. La violenza contro la popolazione irachena da parte delle forze americane, con le torture e l’uccisione di manifestanti innocenti, ha radicalizzato le minoranze sunnite spingendole verso gruppi affiliati con Al Qaeda, che poi diventeranno l’Isis. Come ha scritto Mehdi Hassan, la reazione è avvenuta dopo che gli Stati Uniti hanno smantellato l’esercito iracheno, privando i militari del proprio lavoro, spingendoli ad arruolarsi in gruppi estremisti. Anche l’incarcerazione di massa ha spinto molti verso il radicalismo: Abu Bakr al-Baghdadi, capo dell’Isil, è diventato un estremista a Camp Bucca.

Parlando di interventi scellerati, non si può dimenticare la Libia. Se è vero che Gheddafi non era un santo, è anche vero che il grande spauracchio contro cui era stata dichiarata guerra erano gli islamisti, ovvero i principali oppositori di Gheddafi. Da persone dedicate alla lotta all’estremismo islamico, gli interventisti occidentali, memori dell’avventura in Iraq, erano molto più presi dall’esigenza di rovesciare il regime che dalla voglia di, non dico combattere, ma anche solo affrontare l’Islamismo radicale. Non c’è da sorprendersi se l’intervento, frettoloso e raffazzonato e basato su informazioni esagerate di terza mano, ha destabilizzato lo stato facendo emergere gli Islamisti dall’insignificanza.

Se è vero che l’estremismo islamico è il loro obiettivo, è strano che gli interventisti occidentali cerchino sempre di rovesciare quei leader i cui nemici sono estremisti islamici, arrivando così anche a sostenere gruppi islamisti affiliati ad Al Qaeda. Nella lotta contro il regime siriano di Bashar Al Assad, gli Stati Uniti hanno speso un miliardo di dollari l’anno per addestrare persone che sapevano che erano affiliati di Al Qaeda. L’isteria americana contro i musulmani apparentemente segue il motto “fai come dico, non come faccio”. Gli Stati Uniti vogliono che la propria popolazione si arrenda alla paura diffusa dell’estremismo islamico, alimentato all’estero dagli stessi Stati Uniti nel nome di interessi geopolitici (come l’opposizione alla Russia, la Cina e l’Iran).

“Ma forse sono in gioco i valori democratici,” potrebbe dire qualcuno. “L’America non arma gli islamisti, non li ha nutriti per diffondere l’estremismo islamico, ma per combattere regimi antidemocratici come quello di Gheddafi o di Assad.” Ma se a destra vogliono evidenziare le intenzioni, la critica alla sinistra che inciterebbe l’Islamismo non ha alcun senso: come detto, l’intenzione è di proteggere le persone socialmente vulnerabili, non di istituire un califfato.

Dire, poi, che la diffusione dei valori democratici è il vero telos americano in Medio Oriente non convince. Tra i suoi alleati ci sono regimi profondamente antidemocratici come l’Arabia Saudita, che notoriamente finanzia gruppi estremisti islamisti nel precario Medio Oriente, come Jaysh al-Islam in Siria. E che dire del sostegno all’antidemocratica monarchia del Bahrein, con l’aiuto dei sauditi, che durante la Primavera Araba ha soffocato nel sangue le manifestazioni di chi chiedeva democrazia? A quanto pare, la democrazia non è l’obiettivo primario.

È importante notare che non solo gli Stati Uniti sostengono, e continuano a sostenere, l’estremismo islamico, ma questo sostegno ha contribuito alla diffusione e il mantenimento dei violenti gruppi salafiti molto più di quanto non abbia contribuito la sinistra o le femministe che difendono le donne che indossano l’hijab. Questo atteggiamento non è caratteristico di un solo presidente americano, ma si presenta costantemente nella storia, dal rovesciamento di Mossadegh in Iran al sostegno di Hamas contro le sue controparti laiche, dal sostegno agli islamisti in Afganistan e Pakistan contro i sovietici ai talebani nel 2001, fino alle recenti azioni in Siria. Questo tanto per citare solo esempi recenti riconducibili direttamente agli Stati Uniti. È stupido che il governo americano cerchi di far leva sulla paura dell’estremismo islamico quando esso stesso, con tutto il suo potere, ne è complice, molto più delle persone accusate di soffiare sul fuoco. Non dovremmo lasciarci ingannare da queste cose.


Fonti statistiche:

• Lynch, Marc, ed. The Arab Uprisings Explained: New Contentious Politics in the Middle East. New York: Columbia University Press, 2014.

• Tessler, Mark & Robbins, Michael. “Political System Preferences of Arab Publics.”

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