Di William Gillis. Originale pubblicato il primo febbraio 2018 con il titolo We Will Breathe the Ashes of the Dead for the Rest of Our Lives. Traduzione di Enrico Sanna.
Martedì, mentre il mondo si preparava ad ascoltare il discorso sullo stato dell’unione, è scappata una notiziola con implicazioni terribili. L’amministrazione Trump ha ritirato la nomina ad ambasciatore in Corea del Sud, Victor Cha, dopo che questi aveva espresso perplessità riguardo un “attacco limitato” contro la Corea del Nord.
La notizia è stata generalmente ignorata negli Stati Uniti. I media erano impegnati con le indagini su Trump dell’Fbi e il solito teatrino partitico. Si tratta, però, dello sviluppo più agghiacciante e spaventoso dell’ultimo anno. Tutti sanno che Trump, praticamente contro le obiezioni di tutti i militari, preme per un attacco contro la Corea del Nord. Ma le conseguenze si confondono nel fetore surreale che circonda l’attuale amministrazione, i suoi bottoni atomici e tutto il resto.
La decisione di nominare un ambasciatore interventista è di un’imprudenza unica, significa che l’amministrazione è davvero convinta di dover procedere ad un’azione militare, crede di essere nella fase pianificatrice di un conflitto voluto. La storia di un presidente irritato dalle indagini che cerca di distrarre la popolazione, che vuole strappare un’approvazione sciovinista bombardando un paese lontano, è ormai quasi un classico della politica americana. Già i bombardamenti in Afganistan e Sudan voluti da Bill Clinton erano di per sé odiosi, ma l’idea di attaccare la Corea del Nord arriva a ben altri livelli.
Oltre alle testate nucleari in gioco, oltre al rischio che la cosa possa sfuggire al controllo ed estendersi alla Repubblica Popolare Cinese, c’è il semplice fatto che decine di milioni di sudcoreani sono nel mirino dei cannoni nordcoreani. Seul da sola fa parte di un’area metropolitana di venticinque milioni di abitanti. I bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki hanno provocato vittime dell’ordine di un paio di centinaia di migliaia, e il crimine pesa da generazioni. Ma una catastrofe in una megalopoli densamente popolata come Seul o Tokyo è inimmaginabile. Anche le stime meno pessimistiche non vanno sotto qualche milione; e dopo il primo olocausto ancora esistono strateghi fuori dalla realtà che parlano di un conflitto con poche decine di migliaia di morti al giorno. Non ci sono fottute parole per descrivere l’atroce fregatura che si vuole rifilare al genere umano.
Si possono snocciolare tutte le cifre che si vuole, ma anche se c’è una probabilità su tre che Trump cominci la guerra, i morti sono nell’ordine dei milioni. Qualunque sia il rischio, e non è basso, deve essere moltiplicato per il numero delle vittime. La mente umana è poco abituata a queste statistiche. Steve Bannon parla di dieci milioni di morti. Se dedichi anche solo un pensiero di un minuto ad ognuno di loro, che significa uno sguardo rapido alle loro vite, ai loro amori e alle loro sofferenze, ti ci occorrono più di diciannove anni difilato.
Morti in pochi giorni. Morti perché noi siamo rimasti incantati dallo spettacolo di un presidente buffone. Ammesso che un conflitto simile non degeneri in un cataclisma planetario, come ci giudicheranno le generazioni future? Cosa diranno della nostra inerzia, della nostra insensibilità, del fatto che siamo come inebetiti? Il tempo per piangere non basterà. Passeremo l’eternità in fila da un museo dell’olocausto all’altro.
Se lasciamo che Trump e Kim raggiungano in un attimo quel male che Stalin, Hitler, Leopoldo del Belgio, Mao e Churchill hanno edificato in anni, non ne usciremo mai più. L’orrore della tragedia immensa ci seguirà in eterno. Respireremo le ceneri dei morti per il resto della nostra vita.
Una cosa è sicura: non ci sono scappatoie. Non serve rifugiarsi in Congo o a Giava. Non c’è modo di scaricare il barile delle responsabilità, di confondere le acque di quello che è un eccidio di sistema.
La ferita taglierà il mondo intero. Pensate che la crisi dei rifugiati siriani, o l’accelerazione della crisi ecologica siano il male? O che gli attuali sviluppi geopolitici siano brutali?
Il mondo si unirà contro quel mostro rabbioso che è l’imperialismo americano, questo è certo, ed è certo anche il destino finale di Trump. Ma a costo di rafforzare tremendamente molti altri mali che stanno oltre Trump, oltre il sanguinoso impero americano e le sue istituzioni.
A trarre il maggiore vantaggio saranno i movimenti reazionari di destra e sinistra. Saranno quegli inetti disperati di sinistra che già sventolano la bandiera della Repubblica Democratica Popolare di Corea. La tragedia della guerra non brucerà soltanto la vita di chi sarà fatto a pezzi e ridotto in cenere, ma anche la memoria degli schiavi, delle vittime del regime fascista nordcoreano. Sarebbe un’altra strage, decenni di sofferenze ignorate, relegate ai margini di una storia che parla di una strage improvvisa. E tra i cumuli di cenere saranno gli adoratori del comunismo autoritario – preda delle fantasie di potere, attratti dall’estetica delle fosse comuni – a cogliere più di ogni altro lo scettro dell’antimperialismo. Parleranno a nome dei morti. Diranno che i vampiri nordcoreani erano piccoli Davide contro Golia. E chi a sinistra oserà dire la verità: che il regime caduto era una tragedia immane? Chi oserà dire la verità sapendo che porterebbe acqua al mulino di Golia? La storia insegna che riusciranno a farla franca. Niente liquida un’atrocità come un’altra atrocità.
E la destra alternativa non è diversa da questi nanetti. È da tanto che Richard Spencer sventola la bandiera dei suoi amici etnonazionalisti Assad e Kim, un orientamento perfettamente in linea con gli interessi dei suoi patroni e alleati russi. La destra alternativa ha sempre saputo che un giorno avrebbe dovuto saltare sul carro di Trump, la vecchia finta opposizione all’imperialismo americano riemerge su una piattaforma schiettamente fascista. Oh, certo la base idiotica di Trump accetterebbe tutto pur di far schiattare i liberal, anche un genocidio coreano, bastava sentirli come gridavano esaltati “riduceteli tutti in cenere!” dopo l’undici settembre. E poi, come in Iraq e Afganistan, quando l’errore non può più essere nascosto, basta cambiare opinione e via. A destra, nessuno più dei fascisti puri ha una scusa migliore per eventualmente sconfessare l’alleanza con Trump.
Intanto sullo sfondo l’imperialismo cinese e russo sarà ben lieto di espandersi, nascondendo le rovine del potere americano con gli orrori della Cecenia e del Tibet esportati ovunque. Alla fine un impero tronfio e odiato sarà sostituito, in un accesso di stupidità genocida, da un male nascente ancora senza contraddizioni. Gli Stati Uniti abbattuti non dalla spinta delle forze liberatrici, ma dal proprio collasso. Come una pianta marcia.
Per quanto cerchiate, non troverete mai un aspetto positivo nell’olocausto coreano.
E se alla fine il buonsenso emergerà da queste rovine, non sarà a causa, ma a dispetto di queste atrocità.
Come il minimo indispensabile della coscienza non è l’inazione ma l’azione, così il buonsenso non viene dalla passività ma dall’impegno attivo.
Davanti a questi orrori incombenti possiamo sentirci impotenti, insetti costretti a guardare il piede che ci schiaccia. Ma anche nella nostra condizione di insetti, se c’è un modo per salvare la nostra anima è solo gettando le nostre vite contro gli ingranaggi della macchina da guerra. Perché cosa è la vita di migliaia di noi rispetto alla tragedia?
Che dobbiamo intervenire è indubbio. Ma c’è qualcosa di più offensivo di un atto solamente a parole?
La storia non ci giudicherà sulla base della nostra ignoranza, non dirà che eravamo troppo confusi da non riuscire a trovare una risposta seria. Ci giudicherà invece per quello che abbiamo fatto. I nostri nipoti si chiederanno perché siamo rimasti a guardare, perché ci siamo impantanati tra le beghe del momento. Si chiederanno perché siamo rimasti lì a guardare il disastro imminente senza fare due calcoli sulle conseguenze.
Ai loro occhi appariremo come quell’uomo che finge di non vedere il bambino che affoga. E ci sono migliaia di bambini che affogano. Centinaia di migliaia. Milioni. Allora capiranno cosa valiamo. E nessun braccialetto della pace, nessuna sterile dichiarazione di buona volontà potrà nascondere la realtà.
Sono molte le cose che non sappiamo, il futuro è sempre da scrivere. Ma è certo che le responsabilità sono sempre legate alle azioni. Chi ci osserverà con il senno di poi, ci giudicherà non alla luce di ciò che sa, ma alla luce di ciò che sappiamo noi ora. Il problema non è tanto la certezza della guerra, quanto il fatto che abbiamo permesso che fosse presa in considerazione.
Vale la pena fare qualunque cosa per avere anche una tenue speranza di fermare tutto. Se la situazione non ci offre possibilità, sta a noi cercarle. Ma non a parole. Non ci sono soluzioni facili, o scappatoie, in grado di cancellare il sangue. Il nostro compito è immane. Ignorarlo non serve.
Cosa fare non posso scriverlo qui. In parte perché in questo paese non c’è libertà di espressione e il minimo incitamento ad un’opposizione significativa rischia di buttarti in galera. Ma anche perché so di non sapere e di non poter sapere qual è la strategia migliore. Se ci saranno risposte, arriveranno da chi si guarda attorno, ognuno dalla sua posizione strategica. Bisogna escogitare azioni efficaci e ingegnose per assaltare e far deragliare questo treno della morte.