La Nuova Biografia [Digitale]

Di Isobel Ducasse. Originale pubblicato il 5 gennaio 2018 con il titolo The New [Digital] Biography. Traduzione di Enrico Sanna.

L’elaborazione dell’autobiografia, il movimento modernista e le false promesse dei social media nell’era di Trump

Questo saggio è stato scritto mentre erano in corso gli eventi di Charlottesville, in Virginia. Quanto al modo di vagliare le possibilità dei social media di stabilire un punto di vista politico nell’era di Trump, ero in impasse. Con il peggio dei nostri incubi distopici che prendeva corpo davanti ai nostri occhi, molti dissenzienti (compresa io) si sono riversati sui social come modo per resistere. A ripensarci, però, mi rendo conto che l’era Trump sta avendo conseguenze distopiche: una realtà che pian piano comincia a scrivere se stessa tramite i social media. Vediamo nei social uno strumento di resistenza, ma dobbiamo capire che vi accedono anche gli oppressori. Vorrei rifarmi ad un articolo di Virginia Woolf del 1927 per cercare di spiegare cosa è la “verità” nell’era di Trump.

All’inizio del suo articolo “The New Biography” (La Nuova Biografia, ndt), la Woolf parla della natura problematica delle biografie, della difficoltà che incontra il biografo ad unire due forze opposte: verità e personalità. La verità, nota, ci appare “solida come il granito”, mentre la personalità è “vaporosa come l’arcobaleno”. Secondo la Woolf, che scriveva nel 1927, l’arte biografica ha i suoi problemi. Oggi, con i social che offrono una miriade di strumenti a chiunque, l’arte di scrivere una biografia, di strappare alle mutevoli bizze della personalità una versione dei fatti che sia coerente e veritiera, è ancora più problematico. Scrivendo su Facebook, Instagram o Twitter, noi elaboriamo una nostra autobiografia ad uso di amici e famigliari, ma è proprio l’accesso pubblico a scrivere la nostra biografia al nostro posto. Come la Woolf sosteneva la necessità di una “nuova biografia”, così con questo saggio voglio evidenziare il fatto che anche la promessa di un’autobiografia digitale è falsa; anche nel 2017 fatichiamo a tenere assieme la “granitica” verità e la “vaporosa” personalità.

Viviamo nell’era trumpiana delle “notizie false” e dell’orribilmente orwelliana “realtà alternativa”, e niente fa sperare che la verità “granitica” possa emergere dalla disintegrazione dei media. La Woolf parla della “verità che la biografia esige… verità nella forma più dura e ostinata.” Un’immagine della verità che lei paragona alle enormi collezioni del British Museum: “verità da cui tutti i vapori della falsità siano stati dissipati dal peso della ricerca.” Quando la Woolf parla di verità sotto vetro, coerenti, da archivio, sta riflettendo sulle incoerenze della verità; anche quando si tratta di verità distillata, archiviata e preservata per le generazioni future. Forse l’ipotesi più terribile tra quelle sollevate da Trump è che tutta la realtà sia “alternativa”, e tutte le notizie più o meno “false”.

L’articolo della Woolf, ben curato, arrivato otto anni dopo la fine della prima guerra mondiale e tredici prima della seconda, usciva in un momento di cauto ottimismo per l’Europa. Sembrava che, almeno per il momento, il bene avesse trionfato. La “Grande Guerra” apparteneva al passato, la verità poteva tornare a regnare. La Woolf vedeva una sorta di “virtù” nel concetto di verità; forse anzi “una sorta di potere mistico” inerente l’idea che se la verità esiste, anche il bene o la speranza possono esistere. E non c’è dubbio che il 1926 fosse un anno di ottimismo per l’Europa; fu un’epoca incredibilmente prolifica per la letteratura. Con la nascita del movimento modernista e la pubblicazione dell’Ulisse di James Joyce nel 1922, il concetto di verità passò in secondo piano rispetto a ciò che il malinconico Stephen Dedalus considerava “l’ineluttabile modalità del visibile” (Joyce 37).

Da sempre la critica si chiede se Ritratto di un Artista da Giovane, di Joyce, e La Signora Dalloway, della Woolf, debbano essere considerate opere autobiografiche. Ma forse tutto ciò esula dal tema in questione: se la Verità da museo, con la V maiuscola, è mai esistita; e se è limitata solo ai libri di storia e alle teche di un museo. Come nota la Woolf, è soprattutto con la biografia del diciannovesimo che si cerca di andare oltre il concetto di “vita fatta unicamente di atti e opere” (Woolf 1). Per lei la vita è anche “fatta di personalità”. Stephen Dedalus osserva il lato oscuro delle sue palpebre chiuse e vede “il tempo in cui non ci sarà” (Joyce 37). La signora Dalloway non ricorda quanti anni ha trascorso a Westminster ma è ben felice di arrotondare a “più di venti” (Mrs. Dalloway 4). La critica letteraria considera l’epoca modernista un’epoca in cui lo stile ha subito una rivoluzione, ma sarebbe meglio dire che si tratta di una rivoluzione nell’idea di verità.

È proprio questa rivoluzione stilistica nel concetto di verità che culmina in quello che oggi chiamiamo il Culto della Personalità. Il narcisismo, questo derivato più che patologico dello spostamento letterario e culturale verso l’interiorità, rappresenta il dominio della personalità sulla verità. Per la Woolf, lo spostamento verso l’interiorità ha origine nelle tendenze novecentesche del genere biografico, con il suo tentativo di esprimere non solo l’esteriorità delle opere, ma anche l’interiorità delle emozioni” (Woolf 1). Questa enfasi sulla “vita interiore delle emozioni” è proprio ciò di cui si nutrono i moloc dei social media; è con i social che possiamo agire da autori della “vita interiore delle nostre emozioni e dei nostri pensieri”, ed è per questo che ci accingiamo al compito “con cura e devozione”. E lo facciamo senza il timore di essere giudicati. Se l’atto di scrivere un’autobiografia sa di vanità, curare un account è semplicemente de rigueur.

Quando accediamo al nostro account su Facebook o scriviamo un tweet per esprimere approvazione (o disgusto) per qualcosa, stiamo plasmando la nostra autobiografia; stiamo mettendo davanti agli occhi del mondo la vetrina delle nostre opinioni, dei punti di vista, delle vicende personali. Ma è il profilo in sé, visto da fuori (dal pubblico), che diventa una biografia autonoma, indipendente dalla nostra volontà di autore. Quando elaboriamo la nostra immagine sui social, stiamo accettando la finta nozione secondo cui noi possiamo controllare la “verità” della nostre opinioni. Commentando il genere biografico agli inizi del Novecento, la Woolf ammoniva: “quella vita che ci appare sempre più reale è una vita finta” perché “ha a che fare più con la personalità che con le azioni”. I social esaltano al massimo il concetto, sono dentro questo dualismo di personalità e verità.

Visto l’attuale clima politico, le parole della Woolf, che parlano di una graduale fusione tra finzione e esperienza di vita già agli inizi del Novecento, appaiono minacciosamente profetiche. Donald Trumpo non può staccarsi da Twitter perché l’idea che lui sia l’autore della sua stessa realtà lo gratifica. Ad un uomo la cui carriera è stata costruita sulla sua personalità combattiva, il colosso granitico della verità appare una barriera insormontabile. Il suo frenetico ricorso a Twitter lo tradisce. Mentre i sondaggi lo vedono affondare sempre più, lui continua a scrivere messaggini; e al diavolo la realtà! “Tranne le mie notizie, tutte le notizie sono false”, strilla nel vuoto. Ma per gran parte del paese la sua protesta è vuota. Se è vero che quello di Donald Trump è un tentativo di scrivere una biografia in 140 caratteri al massimo, si tratta della biografia di un uomo alla ricerca disperata di un riconoscimento. Nel tentativo di controllare la propria storia, è la sua storia a controllare lui.

Non tutti i casi sono gravi come quello di Donald Trump, anche se molti di noi abusano colpevolmente dei social in questo modo. Nel tentativo di plasmare l’immagine della nostra esistenza, creiamo una complessa meta-esistenza online, un’autobiografia che si scrive da sé per il pubblico anche quando elaboriamo messaggi privati per famigliari e amici. Se per la Woolf il lavoro del biografo è difficile perché “verità fattuale e verità fittizia sono incompatibili” e il moderno biografo è “chiamato a combinare le due cose”, per il biografo digitale questo compito diventa quasi impossibile. Il fatto che siano i social a scrivere la nostra realtà forse non scandalizza quanto l’idea di una “realtà alternativa”, ma ogni volta che accediamo alla nostra piattaforma online con la speranza di affermare la nostra verità autobiografica non facciamo altro che partecipare ad un gioco retorico. Il fatto che si cerchi di affermare la propria verità contro tutte le altre significa ammettere implicitamente che tutte le altre sono finte; che “tranne le mie notizie, tutte le notizie sono false”.

Per la Woolf, che scriveva nel 1927, la sintesi di “verità granitica e finzione vaporosa” restava un fatto fuggente. “Pensate se la vostra vita,” diceva, “dovesse essere vagliata pochi anni dopo essere stata vissuta. Pensate a come Lord Morely l’avrebbe raccontata; o a come Sir Sidney Lee l’avrebbe documentata; sarebbe strano vedere che ciò che allora appariva reale è sfuggito come acqua tra le dita.” Biografi a parte, pensate alla vostra immagine dell’anno scorso su Facebook o Twitter, pensate a come tutto ciò che allora sembrava “molto reale” è “sfuggito” tra le dita. Come dice la Woolf, “non conosciamo biografi la cui arte sia così raffinata e coraggiosa da formare quello strano amalgama di sogno e realtà, quel matrimonio indissolubile tra il granito e l’arcobaleno”; né possiamo sperare di creare noi stessi questa “arte”. I social promettono il falso: la verità della personalità e la verità dell’esperienza sono fondamentalmente effimere. Continuiamo a camminare nell’oscurità aggrappandoci alla “ineluttabile modalità del visibile”.


Opere citate:

Woolf, Virginia. Mrs. Dalloway. San Diego: Harcourt Brace Jovanovich, 1990. Print.

Woolf, Virginia. “The New Biography.” New York Herald Tribune. 30 October 1927. Print.

Joyce, James, and Hans W. Gabler. Ulysses. London: Vintage Classic, 2008. Print.

Anarchy and Democracy
Fighting Fascism
Markets Not Capitalism
The Anatomy of Escape
Organization Theory