Il Diritto di Proprietà dei Pellerossa e l’Oleodotto

[Di Logan Glitterbomb. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 26 luglio 2016 con il titolo Indigenous Property Rights and the Dakota Access Pipeline. Traduzione di Enrico Sanna.]

Mentre scrivo, le tribù Sioux di Standing Rock e Cheyenne River si preparano ad affrontare la società Dakota Access e le forze armate su questioni riguardanti inquinamento e diritti di proprietà.

Il 26 gennaio scorso la tribù di Standing Rock ha scoperto che il Corpo Ingegneristico delle forze armate aveva dato l’approvazione al passaggio di un enorme oleodotto, lungo 1.886 chilometri, nel territorio della Nazione Hunkpapa, nei pressi del fiume Cannonball, ad appena 800 metri dalla riserva. Secondo i piani della Energy Transfer Partners, società energetica con base in Texas, l’oleodotto dovrebbe attraversare il lago Oahe e il fiume Missouri, violando luoghi sacri e dedicati alla sepoltura che avrebbero dovuto essere protetti da antichi trattati tra le tribù e gli Stati Uniti.

La Energy Transfer Partners ha in programma la costruzione, l’acquisizione e la gestione dell’oleodotto da 3,78 miliardi di dollari, che “porterà fino a 570.000 barili di greggio estratto tramite fracking dai pozzi di Bakken attraversando quattro stati fino ad uno snodo situato nell’Illinois.” Secondo la Dakota Access, inoltre, l’oleodotto “attraverserà 209 tra fiumi, torrenti e tributari”. Più importante per la tribù, però, è il fatto che potrebbe distruggere antichi luoghi di sepoltura e altri siti sacri, e mettere a rischio il fiume Missouri, attualmente la fonte principale di acqua potabile e per irrigazione.

Così Jon Eagle Sr, rappresentante della Standing Rock Sioux’s Tribal Historic Preservation:

“Il territorio tra i fiumi Cannonball e Heart è sacro. È un sito storico dedicato al commercio, dove le tribù nemiche si accampavano pacificamente, quasi a contatto tra loro, in ossequio al sito. In quest’area si trovano megaliti dove i nostri antenati andavano a pregare per ottenere consigli, forza e protezione per l’anno a venire. Questi megaliti sono ancora lì, e il nostro popolo vi si reca ancora oggi.”

Il giorno dopo aver appreso della situazione, il 27 luglio, le tribù hanno inoltrato immediatamente ricorso presso la corte federale del Distretto della Columbia, citando il fatto che le Forze Armate Americane avevano approvato il progetto della Dakota Access Pipeline senza prima consultare il governo tribale, cosa che sono obbligati a fare secondo i trattati americani e secondo la Dichiarazione dei Diritti delle Popolazioni Indigene scritta dalle Nazioni Unite. Secondo il giornale Indian Country Today, “l’azione legale tenta di far rispettare i diritti e gli interessi delle tribù garantiti dalla federazione.” Altre tribù, in prima linea i Sioux di Cheyenne River, hanno chiesto di aggiungersi al ricorso, che chiede un’ingiunzione preliminare al fine di annullare l’approvazione data dalle forze armate alla Dakota Pipeline.

I giovani tra i sei e i venticinque anni della riserva di Standing Rock hanno marciato su Washington per consegnare al presidente degli Stati Uniti una petizione con 160.000 firme raccolte su change.org per opporsi all’oleodotto. Dopo una marcia di 3.500 chilometri e diversi raduni, sono riusciti ad incontrarsi con rappresentanti delle forze armate. Il 10 agosto sono rientrati a casa.

L’otto agosto, la Dakota Access ha avvisato la tribù Sioux di Standing Rock che entro 48 ore i lavori sarebbero iniziati. In risposta, diverse centinaia di manifestanti, la tribù di Standing Rock assieme ad altre tribù sorelle, e una coalizione formata da allevatori, agricoltori e ambientalisti, hanno messo su un accampamento, battezzato Sacred Stone Camp (Accampamento delle Rocce Sacre, es), appena fuori dal cantiere, in tempo per accogliere la folla che tornava a casa dopo aver consegnato la petizione.

Diverse persone sono state arrestate durante l’azione, ma i lavori sono stati sospesi, mentre i costruttori hanno inoltrato denuncia chiedendo il pagamento di presunti danni e ordini restrittivi contro i manifestanti pacifici. Poi i lavori sono ripresi, e l’accampamento di Sacred Stone è rimasto. La polizia ha formato un cordone tra lavoratori e manifestanti, alcuni dei quali a cavallo con la veste tradizionale.

Uno degli arrestati è Dave Archambault II, presidente di Standing Rock, che ha esposto la situazione così:

“Non vogliamo questa serpe nera entro i confini stabiliti dal trattato. Dobbiamo fermare questo oleodotto che minaccia la nostra acqua. Abbiamo detto più volte che non lo vogliamo qui. Vogliamo che il Corpo Ingegneristico delle Forze Armate riconosca gli stessi diritti e le stesse protezioni che sono state riconosciuti ad altri, diritti che, in questioni riguardanti i nostri territori, non ci sono mai stati riconosciuti. Chiediamo che l’oleodotto sia bloccato e tenuto lontano dai confini stabiliti… Abbiamo una voce e la usiamo tutti assieme, pacificamente e rispettosamente. La Tribù Sioux di Standing Rock sta facendo tutto il possibile, legalmente, con il supporto pubblico e parlando direttamente con quel potere che avrebbe potuto aiutarci prima dell’inizio dei lavori. È successo più volte, ma stavolta non saremo completamente ignorati né lasceremo che il Corpo Ingegneristico calpesti i nostri diritti… Abbiamo il serio dovere e la grande responsabilità, verso il nostro popolo e i nostri piccoli, di proteggere le nostri fonti idriche. Il nostro popolo non avrà alcun beneficio da questo oleodotto; a pagarne il prezzo saremo noi con la nostra acqua. Chiediamo con forza al governo federale e alle forze armate di mettere fine agli attacchi contro la nostra acqua e il nostro popolo.”

Tranne i randiani convinti, gran parte dei libertari dovrebbe sentire l’urgenza di mettere in dubbio la legittimità del governo americano quando reclama diritti sui territori tradizionalmente indigeni. Chiunque dovrebbe schierarsi dalla parte dei Sioux e contro lo stato e le sue amicizie clientelari della Energy Transfer Partners. Per proteggere il loro ambiente, le tribù e i loro alleati stanno pensando di far fronte ad eventuali danni ambientali non con le leggi ma tramite un combinato di azioni dirette e azioni giudiziarie basate sui diritti di proprietà, tattiche appoggiate da molti ambientalisti libertari. Qualcosa a cui tutti i libertari dovrebbero guardare con approvazione.

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