È ora che qualcuno esamini criticamente l’espressione terrorismo islamico radicale. Il termine più critico è radicale, in quanto oggi è popolarmente associato all’aggressione, alla violenza contro innocenti, come strumento accettabile ai fini politico-religiosi.
Ma la parola radicale non implica affatto approvazione dell’aggressione o del terrorismo. Piuttosto indica o un approccio che va al cuore della questione, o qualcuno che utilizza tale approccio. La violenza è una tattica che può essere usata al servizio di obiettivi tanto radicali quanto conservatori. Un radicale può essere tanto un pacifista quanto un terrorista o qualcuno che ritiene che la violenza sia giustificata solo per difendere persone innocenti. Non esiste alcun nesso imprescindibile tra radicalismo e aggressione.
Le cose si confondono ulteriormente quando sentiamo che i cosiddetti musulmani radicali sono chiamati anche “musulmani conservatori”. Conservatore radicale è un accostamento bizzarro. Mi chiedo se un musulmano conservatore, o fondamentalista (tornerò sulla questione più giù), possa essere anche radicale. Sulla questione c’è quantomeno disaccordo.
Ad ogni modo, è da libertario che contesto questo uso della parola radicale, da irriducibile difensore del principio della proprietà di se stessi, o (che è lo stesso) dell’obbligo di non-aggressione (ONA). Molte rispettabili persone del passato che condannavano l’aggressione violenta avevano fama di radicali; non lasciamo, dunque, che l’uso di questa parola, come è accaduto in altri momenti della storia americana, causi danni ai radicali veri e propri del futuro.
Quanto al resto dell’espressione, esito ad addentrarmi nella discussione febbrile attorno alla genuina aderenza all’islam dei terroristi mediorientali. Criticare Barack Obama per non aver usato l’espressione terrorismo islamico radicale (se davvero è colpevole di ciò) mi sembra un facile argomento neoconservatore. Quelli che criticano Obama per questa ragione sono gli stessi che ritengono la sua politica estera troppo debole. Tutti sanno per cosa sta la prima “I” di ISIS o ISIL (chiedendo scusa alla vecchia organizzazione libertaria International Society for Individual Liberty), e tutti hanno familiarità con l’espressione Stato Islamico.
D’altro canto, posso capire il desiderio di negare ad una minoranza violenta il diritto di parlare a nome di un’intera religione, che sotto molti aspetti ha un passato onorevole. Quando, nel dodicesimo secolo, ordinarono al filosofo ebreo Moses Maimonides di convertirsi all’islam o di lasciare la Spagna, lui andò in Marocco, e da lì in Egitto, le cui leggi proibivano la conversione forzata perché contraria alla legge islamica. Quando, tre secoli più tardi, gli ebrei furono espulsi dalla Spagna del re cattolico Ferdinando, questi trovarono accoglienza nell’impero ottomano. Accettare le dichiarazioni di una minoranza violenta non fa altro che stigmatizzare ovunque i musulmani pacifici, minacciando la loro libertà per mano dello stato e delle ronde cittadine. Nessun sostenitore della pace e della libertà può accettarlo.
Dobbiamo soprattutto respingere chi cerca di dipingere l’Islam come qualcosa di intrinsecamente militante. Citare passaggi violenti del Corano non serve, dato che altrettanti sono i passi che consigliano rapporti pacifici con i non credenti. Anche i libri di altre religioni abramitiche contengono espressioni contrastanti riguardo la pace e la violenza, il che rende lo scambio di citazioni, in entrambe le direzioni, un facile passatempo per chi ne ha voglia. Anche nella storia ebraica e cristiana si trovano azioni contradditorie. Quando dei cristiani linciavano i neri e bruciavano le croci, l’atto non era generalmente attribuito alla cristianità intera, e quando degli ebrei bombardano e bruciano i palestinesi, l’atto non è generalmente attribuito al giudaismo. Lo stesso andrebbe fatto con l’Islam.
Roderick Long mette la cosa in prospettiva:
“Qualsiasi religione antica o complessa abbastanza da aver lasciato un qualche segno nel mondo quasi inevitabilmente contiene elementi che non possono essere riconciliati se non interpretandoli in un senso diverso da quello più ovvio e letterale, che si tratti di elementi del tipo ‘Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo’ e ‘Non vi sia costrizione nella Fede’, o ‘Chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una’ e ‘Tutti quelli che prendono la spada, periranno di spada’, o ancora ‘Il Congresso avrà il potere… di promuovere del progresso della scienza e delle arti pratiche assicurando per un tempo limitato agli autori e agli inventori il diritto esclusivo sui propri scritti e sulle proprie scoperte’ e ‘Il Congresso non approverà leggi… che limitino la libertà di espressione o di stampa’.”
Poi continua illustrando i problemi che tutto ciò comporta per i cosiddetti fondamentalisti delle principali religioni:
“E questo significa che ogni credente, compresi i cosiddetti fondamentalisti, sceglie sempre un passo della dottrina che si presti ad un’interpretazione non letterale. Inevitabilmente, l’interpretazione viene fatta alla luce di un’idea di ciò in cui vale la pena credere. Ad esempio: la tale religione è essenzialmente una dottrina di pace che contiene alcuni insoliti passaggi violenti da minimizzare, o è una dottrina violenta che contiene alcuni insoliti passaggi pacifici da minimizzare? La risposta non è scontata; è una scelta deliberata. Allora il trucco dei sedicenti fondamentalisti, che cercano di evadere la discussione su cosa è giusto e cosa è sbagliato appellandosi all’autorità, dicendo ‘Lo ha detto Odino/Vishnù/Cibele, io ci credo, punto’, è un autoinganno (a meno che non trovino un dio che ha detto così poche cose che tutti i suoi pronunciamenti possono essere spiegati nella maniera più letterale possibile; ma quanti sono gli dei così stupidi e taciturni?). Dei comandamenti di una divinità significativa occorre avere una qualche opinione indipendente per capire cosa comanda.”
E già che ci siamo, smettiamola di confondere le idee sul perché, quando e come i terroristi di San Bernardino si sono “radicalizzati” o sono stati “radicalizzati” da altri (ma è possibile?). Ciò che mi preme qui è non solo far passare una parola preziosa, ma anche mettere in guardia contro le conseguenze oscure delle misure per la sicurezza nazionale caldeggiate da chi, in occidente, vuole uno “scontro di civiltà”, o la Quarta Guerra Mondiale. Lo stato di allerta invocato contro i “musulmani radicali” getterà (sta già gettando?) inevitabilmente sospetti sui musulmani che rifiutano la violenza. La logica dello scontro di civiltà potrebbe facilmente giustificare la diffusione delle violazioni delle libertà civili. Dopo tutto, nessun americano ha bisogno di andare in Siria, Arabia Saudita o Pakistan per diventare un terrorista. Non ha neanche bisogno di mettersi in contatto con qualcuno dello Stato Islamico o al Qaeda. Non serve neanche Internet. Potrebbe essere sufficiente stare a casa a guardare i servizi della CNN sulla violenza inflitta dal governo americano al mondo musulmano per far nascere la malaugurata idea di usare altrettanta violenza contro civili americani. E allora Donald Trump, o qualcuno dei suoi rivali, potrebbe decidere che tenere lontani i musulmani o controllare le moschee non basta (Trump ha parlato di “chiudere Internet”).
Niente, neanche uno stato di polizia, può impedire ad una persona di formulare propositi omicidi. Abbiamo maggiori possibilità di ridurre le già scarse probabilità di essere vittime del terrorismo se il governo americano smette di fare o incoraggiare la guerra nel mondo musulmano. Il decentramento e la depoliticizzazione della sicurezza può fare il resto.
Pubblicato anche su Free Association.