Di Logan Marie Glitterbomb. Originale pubblicato il 10 febbraio 2020 con il titolo Why I don’t Support the Women’s March. Traduzione di Enrico Sanna.
Il ventuno gennaio 2017 scesi in piazza a Washington assieme a migliaia di altre donne per quella che avrebbe dovuto essere una manifestazione di unione e solidarietà a sostegno dei diritti di tutte le donne, ma ciò che vidi era altro. Già durante le settimane precedenti la marcia c’erano stati problemi tra le organizzatrici bianche e quelle di colore, così come tentativi di prendere le distanza dalla marcia delle lavoratrici del sesso presenti nel movimento femminile. Dopo tanto casino da parte del grosso delle attiviste e dopo varie minacce di boicottaggio e contromanifestazioni da parte di chi manifestava solidarietà con le lavoratrici del sesso, fu deciso di fare dietrofront e porre sulla piattaforma il sostegno pubblico alle lavoratrici del sesso.
Nonostante le pecche, mantenevo la speranza, vedevo che le organizzatrici perlomeno rispondevano alle critiche e capivo che la marcia era composta da vari elementi, alcuni più reazionari e altri più rivoluzionari. Io ero lì per stare con le rivoluzionarie e cercare di costruire qualcosa. C’è da dire, però, che, quando io e diverse altre attiviste antifasciste come me all’inizio della manifestazione ci separammo per unirci in solidarietà alla Marcia delle Donne, fummo accolte con ostilità, odio, addirittura con atteggiamenti bigotti. Non solo certe “femministe” transfobiche misero in dubbio la mia femminilità, ma alcune liberal cercarono, per così dire, di smascherarmi; mentre altre attiviste ancora arrivarono a rivolgersi alla polizia chiedendo di rivelare la nostra identità oppure di andare via.
Noi non facemmo né l’una né l’altra cosa e continuammo a marciare per i diritti di tutte le donne restando entro la legalità. Addirittura, una delle anziane del movimento ci chiese cortesemente scusa per il comportamento delle altre, si accertò che stessimo bene fisicamente e emotivamente, ci offrì cibo e acqua e ci fece gli auguri prima di allontanarsi. Ad un certo punto, l’assenza di solidarietà da parte delle altre manifestanti divenne così scoraggiante che ce ne andammo per unirci alle manifestanti del J20 che stavano altrove.
Arriva l’anniversario della Marcia delle Donne e cominciano le celebrazioni a livello locale. Riconoscendo che la mia città in queste cose è un po’ meglio di altre, ho cominciato a pensare se non era il caso di partecipare alla marcia locale di solidarietà, giusto per vedere com’era e se era meglio dell’altra. Dopotutto, la marcia aveva conquistato una certa notorietà per aver celebrato sui social il compleanno di Assata Shakur, la Pantera Nera attualmente latitante. Fin da subito, però, ho capito che la retorica era ancora vaginocentrica, ancora non riconosceva le donne transessuali e i loro problemi, ancora mancava un’analisi intersezionale, e più che una marcia delle donne sembrava una marcia contro Trump.
A me non interessa protestare contro Trump. Lui è parte di un problema molto più ampio, un problema che, pensavo, la Marcia delle Donne avrebbe potuto affrontare, almeno un po’. Invece questa Marcia delle Donne sembrava un raduno a favore di Hillary Clinton. Ma se Trump non avesse vinto le elezioni, quante di queste borghesi dalla pelle chiara avrebbero marciato ugualmente? Prendetevi pure i vostri slogan vaginali e i vostri orribili cappelli all’uncinetto e andate a fanculo. Non ho niente contro le magnifiche attiviste di Codepink e le altre che negli ultimi anni hanno cercato di infondere un po’ di radicalismo nella Marcia delle Donne, ma al momento non ho tutta quella pazienza. Venite a prendermi quando la Marcia sarà diventata una cosa seria che lotta per i diritti di tutte le donne, ma fino ad allora resto a casa.