[Di Kaile Hultner. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 13 dicembre 2016 con il titolo The Fake News Scandal Isn’t Quite What You Think It Is. Traduzione di Enrico Sanna.]
Benvenuti a Missing Comma, uno sguardo bisettimanale all’anarchismo nelle notizie.
Sarebbe un errore riprendere Missing Comma senza parlare dello scandalo delle “bufale”, o notizie false, e in particolare della falsità dello scandalo.
Per chi si fosse perso i media tradizionali dell’ultimo mese, lo scandalo “bufale” è iniziato il 17 novembre, quando il Washington Post ha pubblicato sul proprio blog culturale, the Intersect, un’intervista con il padre di un sito di false notizie, Paul Horner.
Intervistato, Horner dice: “Pensavo che qualcuno andasse a verificare, facendo una pessima figura. Voglio dire che funziona così: Qualcuno pubblica qualcosa che io ho scritto, si scopre che è falso e chi l’ha ripreso fa la figura dell’idiota. Ma i sostenitori di Trump… si bevono tutto! Non verificano mai nulla! E adesso lui è alla Casa Bianca. Pensandoci bene, credo di averlo aiutato nella campagna elettorale. E questo è un male.”
Fin qui, il messaggio è che le bufale sono un problema, e hanno influenzato le percezioni della popolazione durante un’elezione particolarmente combattuta. Dopo quest’intervista la storia, almeno per come la vedono i media tradizionali, è cambiata completamente, e l’interesse per le “bufale” è andato alle stelle.
Dopo l’intervista con Horner, l’argomento bufale ha fatto il giro della stampa politica con ogni genere di interpretazione, dal falso vero e proprio alla satira ai titoli ingannevoli fino ai media con base ideologica. Sono anche state lanciate campagne, come quella di PropOrNot, che mirano a snidare questi media issando la bandiera della lotta alla “propaganda russa”.
Incredibilmente, PropOrNot nella sua lista di “oltre 200” organizzazioni mediatiche, siti di notizie false e blog da loro definiti “propaganda russa”, ha messo siti libertari di lungo corso come Antiwar.com e i nostri amici anarchici di AntiMedia. La cosa è molto bizzarra, e il loro rapporto… un casino. Ci torneremo un’altra volta.
In realtà, bufala è diventato un zaxlebax, un anti-concetto a scatola chiusa che comprende media diversissimi tra loro e non ne descrive uno correttamente. The Onion non ha mai preteso di essere altro che satira. Upworthy non ha mai negato di far uso di titoli ingannevoli, e non con l’intento di ingannare i lettori. C4SS, Antiwar, Infoshop e AntiMedia non hanno mai detto di essere obiettivi, né hanno mai ingannato i propri lettori dicendo di essere mossi da qualcosa che non fosse un’ideologia. Gli unici media che rientrano pienamente nella definizione di “bufala” comunemente intesa sono siti come “abcnews.com.co” e i tabloid.
Questi qua non hanno rimorsi a scrivere bufale, inventare fatti mai accaduti, trasformare il bigottismo e l’ingenuità di molti in un’arma.
Ad onor del vero, chi scrive sul blog Intersect del Washington Post lo riconosce, e ieri l’ha messo per iscritto.
Nel giro di poche settimane, la questione bufale, da questione su come si condividono le notizie è diventato un meme, un qualcosa che potrebbe trasformare quasi tutto in una “bufala”. Forse internet andrà avanti creando nuove definizioni del termine “notizie false”.
Anche John Herrman, del New York Times, riconosce la questione delle bufale come concetto:
La parola pigliatutto “bufala” quasi sicuramente si ritorcerà ferocemente sui media. Il concetto, a livello generale, già comincia a comprendere non solo false storie inventate, ma una messe più ampia di media tradizionali su Facebook e altrove. Fox News? Bufale. Trump che ingannevolmente dice che la Ford manterrà i posti in America? Bufala. Tutta l’iperfaziosa Facebook? Bufala. Quest’ampia interpretazione dell’espressione “bufala” finirà per ritorcersi contro i media tradizionali, che ancora non capiscono quanto sia minacciata la loro possibilità di dichiarare qualcosa come vero, anche quando lo è.
In pratica, la credibilità perde valore, e oggi assistiamo alla stessa tattica che ha fatto emergere la destra alternativa come forza politica rilevante. Scaricare le responsabilità, sviare l’attenzione, offuscare la verità.
In un articolo della settimana scorsa, Jay Rosen, professore di giornalismo all’Università di New York, ha espresso meglio la cosa dicendo:
Quando dico che è un fiasco peggio di una storia sbagliata intendo questo: che una cosa è scavalcare i giornalisti e rivolgersi direttamente agli elettori, e un’altra è scardinare la stampa. Una cosa è mentire per fini politici, e un’altra è continuare a mentire per mostrare il proprio potere. Nel 2004 l’allontanamento dal dato empirico era un problema. Dodici anni dopo è una tendenza politica in piena ascesa. “Quello che facciamo crea la nostra realtà” era una fanfaronata della Casa Bianca di Bush, una stoccata tanto per scioccare i giornalisti. Ma oggi Trump cerca di sostituire le notizie dal mondo con la sua realtà. Parlare di Trump è stata un’impresa ardua. Liberarsi di lui sarà forse quasi impossibile per l’informazione politica.
Da anarchici, noi del C4SS abbiamo sempre portato avanti quella che è, essenzialmente, una missione propagandistica: portare l’anarchismo a chi sta fuori dall’ambito accademico e dalle cerchie politiche, creare la cultura del dialogo sulla politica radicale nei piccoli centri passando dall’accesso principale: la stampa locale. Così facendo, non abbiamo mai nascosto le nostre intenzioni, né ci siamo mai vergognati di definirci anarchici. Il risultato è che, negli ultimi anni, abbiamo visto diminuire la risposta di giornali che un tempo ripubblicavano i nostri articoli e ora non più. Ma dire la verità sulla nostra politica e offrire un contorno di idee è sempre stato il nostro obiettivo, e non molleremo.
Fin da quando ho iniziato a scrivere Missing Comma nel 2013 ho sempre avuto un certo concetto dei media. Ovvero, che la stessa etica e la stessa integrità che si applica a media tradizionali come il New York Times e il Washington Post vale anche per i media gestiti, scritti e letti da anarchici. Si possono creare media con gli stessi standard di qualità e lo stesso proposito di raccogliere informazioni per presentarle alla popolazione così come faceva l’informazione “prevalente”, ma senza tutte quelle pretese di neutralità e di assenza di punti di vista ideologici. Non so se ci siamo già riusciti. Vorrei che ci provassimo. La prossima volta, non importa tra quanti anni, potrebbe essere più facile.