[Di Kevin Carson. Originale pubblicato su Center for a Stateless Society il 24 maggio 2016 con il titolo “Intellectual Property” Keeps Right on Killing. Traduzione di Enrico Sanna]
Gli apologeti abituali dell’agroindustria, come Ron Bailey di Reason, citano continuamente studi che dimostrano come il glifosato, la “componente attiva” di Roundup, abbia un ruolo improbabile nell’insorgenza del cancro, almeno nella concentrazione dei prodotti che si trovano nei supermercati. A quanto pare, però, puntare l’attenzione potrebbe essere una distrazione. Ci sono prove (“New Evidence About the Dangers of Monsanto’s Roundup,” The Intercept, 17 maggio 2016) che dimostrano come Roundup sia effettivamente cancerogeno, soprattutto nelle concentrazioni a cui sono esposti i lavoratori agricoli: il colpevole non è il glifosato, ma gli “eccipienti” (come i tensioattivi). Sono queste sostanze “inerti”, infatti, che possono risultare letali per le cellule umane, anche in quelle quantità residue a cui i consumatori sono esposti (“Weed Whacking Herbicide Proves Deadly to Human Cells,” Scientific American, 23 giugno 2009). Ma per legge la Monsanto è chiamata a dichiarare solo la componente attiva, ovvero il glifosato. Gli “eccipienti” sono segreto industriale, protetti per legge dalla cosiddetta “proprietà intellettuale”.
Anche se fosse vero che Roundup è sicuro se usato seguendo le istruzioni del produttore, come dice la Monsanto, quando mai viene usato così? Dato lo sfacciato sbilanciamento di potere all’interno dell’agroindustria, nessuno riterrà i vertici delle gigantesche aziende responsabili per aver aggirato gli ostacoli in materia di esposizione dei propri dipendenti alle sostanze tossiche. Negli anni ottanta assistetti ad un uso massiccio di Roundup per “sterminare l’erbaccia” nel prato che circonda Old Main all’Università dell’Arkansas. In realtà sterminò anche il prato e qualche quercia. E proprio mentre gli addetti giardinieri applicavano Roundup in divise che sembravano spaziali, gruppi di studenti in pantaloncini e top passeggiavano nella nube tossica.
Aggiungo che è disonesto che si dia il via libera a Roundup solo sulla base della dannosità o meno per i consumatori. Sono importanti anche gli effetti di Roundup (e delle enormi monocolture di cui è parte) sui lavoratori agricoli e sull’ambiente.
Certo i libertari avranno da obiettare riguardo l’etichettatura delle componenti, comprese quelle attive. Ma i libertari tendono anche ad essere a favore di una forte legislazione sul danno civile (a meno che non siano ipocriti) al posto dello stato normativo. E parte di questa legislazione è la possibilità di citare prove rilevanti di un presunto danno. In un ordine legale libertario (ammettendo la possibilità improbabile che qualcosa anche solo somigliante all’agroindustria possa nascere nel libero mercato), data la prevalenza di tumori come il linfoma non-Hodgkin tra i lavoratori agricoli esposti a Roundup, la Monsanto verrebbe subito denunciata e costretta a rivelare tutte le componenti di Roundup. E in ogni caso i “segreti industriali”, garantiti per legge o fatti rispettare con metodi che non siano il segreto vero e proprio che non vincoli terze parti, non esisterebbero affatto.
Dunque l’esistenza di segreti industriali protetti per legge rappresenta un’arma contro la salute e il benessere delle persone, che non possono conoscere la natura delle sostanze tossiche a cui possono essere esposti.
Questa non è una novità. Già l’abbiamo visto a proposito del cocktail di sostanze usate nella fratturazione idraulica, o “fracking”, sostanze tenute nascoste alle potenziali vittime dalla “proprietà intellettuale”.
E oltre alle morti causate dalla “proprietà intellettuale” in sé lo stato non esita, se serve, a causare morte su vasta scala pur di far rispettare la “proprietà intellettuale”, come si intuisce dalle lettere diplomatiche trafugate dall’ambasciata colombiana (“Leaks Show Senate Aide Threatened Colombia Over Cheap Cancer Drug,” The Intercept, 14 maggio 2016). La Colombia si stava accingendo ad approvare un farmaco generico più economico dell’imatinib, che costa 15.000 dollari per fornitura annuale. Un assistente del senatore Orrin Hatch (amico intimo dell’industria farmaceutica e ultra-falco in materia di “proprietà intellettuale”) ha espresso “preoccupazione” ai diplomatici colombiani sostenendo che, in caso di violazione dei diritti di “proprietà intellettuale” della Novartis, dicendo che “l’industria farmaceutica avrebbe potuto farsi sentire con forza riguardo altri interessi che la Colombia ha negli Stati Uniti”. In particolare: “questo caso potrebbe mettere a rischio i finanziamenti della nuova iniziativa ‘Pace in Colombia’”. Pace in Colombia è il tentativo di negoziare la pace tra il governo colombiano e la guerriglia, e comprende finanziamenti per l’eliminazione delle mine terrestri.
In sostanza, questi sicari farma-politici sono pronti a causare morte negando medicinali salvavita a costi abbordabili. E sono anche pronti ad ostacolare (“Bel piano di pace che avete…”) la fine di una guerra civile che ha fatto migliaia di morti, oltre alla disattivazione delle mine terrestri in un paese che ha la seconda più alta percentuale di vittime al mondo.
La “proprietà intellettuale” non è solo furto. È anche terrorismo.